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Giuseppe Conte, scivoloni e furbate. Giuli: altro che "gaffe", cosa c'è davvero dietro il discorso contro Salvini e Meloni

Alessandro Giuli
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Il problema con Giuseppe Conte è che il premier ci fa e ci è al tempo stesso. Le sue sbruffonate, i suoi strafalcioni e le sue intemerate a reti semiunificate, senza contraddittorio e senza pudore, sono un misto d' improvvisazione in cui convivono e si mettono in mostra due personalità distinte: la controfigura di un Di Maio che ha studiato e il mentitore seriale che si approfitta sfacciatamente del proprio ruolo istituzionale. Attenzione, dunque, a non mettere sullo stesso piano la recente gaffe storico-religiosa sulla Pasqua cristiana come ricorrenza della fuga salvifica «in Egitto» da parte degli ebrei con l' attacco selvaggio a Giorgia Meloni e Matteo Salvini accusati venerdì sera, con plateale manipolazione della realtà, di aver approvato nel 2012 l' odiato meccanismo europeo di stabilità (Mes).

 

 

 

Nel primo caso stava parlando l' avvocato di Volturara Appula, la paglietta del mezzogiorno travestita da sepolcro imbiancato che da ragazzino bigiava alle ore del catechismo e adesso ripesca confusamente dalla memoria le nebbiose reminiscenze scolari della sua terra del rimorso. Nel secondo caso no, non c' è un difetto di memoria ma un calcolo spregiudicato: vi stava parlando il protagonista del TgConte, un presidente del Consiglio che mette sotto sequestro il pluralismo politico sfruttando l' incomparabile superiorità dei propri mezzi d' informazione per screditare un' opposizione ridotta al silenzio.
E, fatto ancora più grave, questa meccanica offensiva si dispiegava nel momento in cui i cittadini aspettavano passivam

ente, come verbo rivelato, le parole di Palazzo Chigi sulle loro aspettative di libertà e salute al tempo del Coronavirus. Gli italiani pendevano dalle labbra di un governo che ci sta più o meno consapevolmente trasformando nelle cavie di un immane esperimento d' ingegneria sociale su base digitale con venature repressive; e il più alto in grado dell' esecutivo, pur di nascondere i fallimenti europei del suo ministro dell' Economia, ha deciso allora di mescolare informazioni glaciali e roventi falsità contro gli oppositori sapendo che nessun giornale (i pochi non corrivi, per lo meno) e nessun social-network avrebbe mai potuto riequilibrare numericamente la forza di persuasione d' una conferenza stampa alla Nazione.

Scivoloni e furbate - Questo è il metodo Conte: piccoli scivoloni e grandi furbizie mediatiche. Altri esempi non mancano. Come a fine marzo quando, sempre per illustrare in tivù modi e tempi delle restrizioni provocate dalla pandemia, il presidente del Consiglio aveva detto che «quando il genitore va a fare la spesa si può accompagnare a un bambino, uno per volta. La possibilità non può essere l' occasione per un genitore di andare a spasso e allentare le misure». Concessione subito rientrata di fronte all' allarme degli epidemiologi basiti. Ma già all' inizio del mese le premesse dei successivi strafalcioni erano apparse nitide: Palazzo Chigi aveva proclamato tutta l' Italia zona arancione senza coordinarsi con la Difesa e il Viminale per impedire gli assembramenti notturni alla stazione di Milano, e senza premurarsi di assicurare che i supermercati sarebbero rimasti aperti. Perché i decreti presidenziali, oggi, in Italia, vengono declamati a braccio, corredati di pensierini notturni e moraleggianti tipo «l' isolamento ci servirà a riflettere su noi stessi», e tutto ciò avviene prima ancora che i testi ufficiali vengano scritti e licenziati.

Bombe intelligenti - Ma l' aspetto insopportabile di tali oscillazioni improvvide sta appunto nel fatto che Conte, tra uno svarione e l' altro, sgancia alcune bombe più intelligenti e mirate di quanto si possa immaginare. Il 21 febbraio, una volta scoppiato il caso Codogno, l' ignoranza dei fatti lo portava ad assicurare che «la situazione è sotto controllo: eravamo preparati a questa evenienza, trattandosi di agenti virali facilmente trasmissibili avevamo predisposto un piano, lo stiamo attuando, la popolazione non deve essere preoccupata».

Tre giorni dopo, invece, un preciso modello di colpevolizzazione autoprotettiva lo induceva ad avviare un attacco d' artiglieria poi distillato in varie altre occasioni contro la regione Lombardia. La prima testimonianza del metodo Conte sta nella cespugliosa accusa all' ospedale di Codogno che fece subito infuriare il governatore Attilio Fontana - «C' è stata una gestione a livello di una struttura ospedaliera non del tutto secondo i protocolli prudenti che si raccomandano in questi casi, e questo sicuramente ha contribuito alla diffusione» - ma di lì in poi è stato un continuo moltiplicarsi di scaricabarile sulla questione delle zone rosse, come quelle mai dichiarate in Val Seriana. Nella circostanza, di là dalle pressioni ricevute dal mondo politico per opera degli industriali del luogo, Conte non poteva non sapere che la decisione doveva essere il frutto di una sintesi tra poteri dello Stato e prerogative regionali, ma soprattutto era a conoscenza del fatto che sia il presidente dell' Iss Silvio Brusaferro sia l' intero Consiglio tecnico-scientifico al servizio di Palazzo Chigi reclamavano la zona rossa a Nembro e Alzano Lombardo fin dal 3 marzo.
Risultato: il governo prese tempo e la Lombardia perse tempo diventando tutta arancione invece di colorarsi di rosso a macchia di leopardo, come avrebbe dovuto.

La fregatura - Ma quanto sono note ai più, e cioè all' italiano medio che si forma un giudizio attaccandosi al teleschermo nell' ora del telegiornale, l' oggettiva consistenza e la reale distribuzione degli errori commessi dalle catene di comando? E così torniamo al punto di partenza. Nel suo eloquio rasposo e involuto, Conte si mostra vanitoso e ignorantello eppur furbissimo, circondato com' è da un dispositivo di comunicazione insormontabile per i suoi critici: una versione comica e teratologica del Grande Fratello.
La furia legittima di Giorgia e le denunce reiterate di Salvini, sia pure dilatate da un generale senso d' insofferenza che si fa strada anche nel mondo dell' informazione (Mentana su tutti, che ha denunciato per primo la commistione tra il ruolo istituzionale e le sparate da capopartito del premier), non possono rivaleggiare ad armi pari con le brutali esondazioni di uno, nessuno e centomila Conte.

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