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Quei 38 miliardi che il governo non usa perché li ignora

 Il premier Conte all'Unione Europea (che ci ha già dato 38 miliardi di fondi a gratis)

Abbiamo già a disposizione una somma equivalente a quella del Mes. Basterebbe solo cambiare la destinazjone dei fondi già stanziati

Francesco Specchia
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Alleluja, l’Unione Europea alla fine ha il suo Recovery Fund da 750 miliardi. All’Italia 172,7 miliardi di cui 81,8 a fondo perduto e 90,9 miliardi in prestito, che non sono malaccio. Ma, considerando che il reale ammontare netto tra quello che pagheremo in più e quello che riceveremo sul fondo perduto, è di circa 26 miliardi (aumenteranno i nostri contributi al nuovo bilancio Ue), be’, serve altro denaro.

Sicché in Parlamento ecco che torna a infiammarsi la polemica sui 37 miliardi del Mes, la nuova linea di credito pandemica a minima condizionalità che divide la maggioranza. Ma pochi ricordano che ci sono circa 38 miliardi di euro di fondi strutturali che non siamo riusciti a spendere e che potremmo utilizzare praticamente senza condizioni. Fondi europei, ovviamente. Sono i cosiddetti “fondi di coesione” previsti per la misura 2014/20. Su 53 miliardi già stanziati attraverso 51 programmi regionali e nazionali con la quota di cofinanziamento, circa 38 miliardi, appunto, sono in attesa di essere spesi. 38 miliardi, già allocati. E questo per la “misura 14/20”, appunto. Poi ci sarebbero gli altri quattrini già in pratica stanziati per 2021/2027: i 36,5 miliardi di PAC + 10 miliardi per la voce ricerca e innovazione + 10 miliardi di Por fondi regionali che ci spetterebbero per la nuova Misura, da qui al 2026, e in tutto avremmo a disposizione, a spanne, 140 miliardi. Una massa di denaro che -sempre che non cambino i piani- ci spetta, mica chiesti a debito come il Mes. E di cui basterebbe semplicemente chiedere, con cortesia, il cambiamento della destinazione d’uso, dato che “la Commissione dice che in sostanza- data l’emergenza- si possono spostare risorse dove più c’è bisogno sui territori più colpiti, sui fondi più appropriati, sulle misure più urgenti”, scrive Nicola De Micheli, Direttore per la crescita intelligente e sostenibile presso la direzione generale Politica regionale e urbana delle Commissione Europea. Cioè. Basterebbe dire alla Van Der Layen, presidente Ue: “Scusa cara, tu anticipaci solo il 40% delle misure, cioè di quello che tanto già ci dovresti, e noi ti promettiamo di spenderli per la sanità, per gli ammortizzatori sociali, per le infrastrutture. Perfino per la flat tax”. Per la verità della flat tax parla soltanto Armando Siri, il consigliere economico delle Lega che l’ha inventata, a cui è venuta quest’ideuzza dei fondi. Ideuzza che, di fatto, è l’uovo di Colombo per ripartire senza la necessità di andare a chiedere liquidità all’Europa col cappello in mano.

E, per la verità, il De Micheli il direttore generale Ue di cui sopra, fatti due conti, parla di 21 miliardi sicuri e non 38 “perché si riferisce anziché ai 50 miliardi stanziati, ai 41 per i quali sono stati presentati progetti; ma poi sui 16 impegnati in realtà 7 sono rimasti sulla carta. Quindi, in sostanza, si torna ai famosi 38 miliardi, ma anche fossero 25/30, sono comunque molti soldi” ribatte Siri. La sostanza non cambia. I soldi ci sono. Certo, è vero che in condizioni normali i fondi Ue sono sottoposti a procedure complesse di utilizzo e investigazione, anche perché i primi politici italiani a sfruttarli li sperperarono nei finanziamenti alle varie sagre della salsiccia, o per riparare i campanili dei paeselli d’elezione, o comunque sempre per ungere il loro elettorato. Le procedure son procedure. Ma è anche vero che, data l’emergenza, quelle stesse rigidissime procedure potrebbero essere semplificate e sganciate dai vincoli standardizzati e dalle modalità di destinazione, giusto per farci ripartire. Dice sempre De Micheli: “Il primo lavoro da fare è una ricognizione programma per programma, priorità per priorità, progetto per progetto, per stabilire quali siano le risorse potenzialmente disponibili”.  La proposta di mettere mano ai fondi di coesione, materia infiammabile per molte incompetenze della nostra politica, resta un buon modo di fundraising nella prospettiva del crollo del nostro Pil del 13%. Sapete la proposta quanti riscontri ha avuto? Zero. In compenso si è rischiato di far crollare il governo sulle guardie civiche ai Navigli e su un ministro della Giustizia che ha sbagliato una nomina…

 

 

 

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