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Alessandro Di Battista, retroscena: mira a fare "il Salvini del M5s", il piano per tornare al vertice con Barbara Lezzi

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Alessandro Di Battista  è uno dei grandi sconfitti dalla piattaforma Rousseau, il placet degli iscritti alle alleanza con i partiti tradizionali sognato da Beppe Grillo  invece a Dibba non è andato proprio giù ma lui sogna di essere l'outsider del M5s. "L'ex parlamentare", scrive Il Foglio nella sua analisi, "non punta a essere il Bobo Maroni della Lega, bensì guarda, ambisce, e a volte lo dice alle poche persone di cui si fida, il vecchio Matteo Salvini del nuovo Movimento. Colui cioè che prese un partito in terapia intensiva al 3 per cento, scassato, e lo portò di nuovo in doppia cifra. (...) lo invocano come se fosse il Messia, gli chiedono il miracolo che non arriva mai, gli mandano le agenzie di stampa con le crocette sull'ultimo incontro segreto (che tale alla fine non è) di Luigi Di Maio, il suo ex gemello diverso, o sulle ultime cose non fatte da Vito Crimi. Ma alla fine, tutti i dibba-boys, stanchi del silenzio strategico del loro paladino si interrogano. Interdetti. Aprono le braccia. E vorrebbero quasi tirargli una martellata sul ginocchio: 'Perché non parli?". 

 

 

 


Però Di Battista ex pariolino del liceo Vila Flaminia ma ora novello rivoluzionario tace. Solo la fedelissima Barbara Lezzi qualche giorno fa aveva scritto un post contro “le alleanze con i partiti nei territori. Non perché sia pregiudizialmente contraria ma perché ritengo che si debba definire un metodo solido, con regole certe e trasparenti, criteri convincenti per i nostri elettori”.  

Frasi che sanno tanto del pensiero di Dibba.  "I suoi nemici nel Movimento", scrive Il Foglio, "gli riconoscono una certa indolenza romana che sembra disegnarlo in pantofole. Neghittoso. Facile alla sparata e basta. E dunque poco interessato alla pugna, soprattutto su questo Titanic (...) Di sicuro internamente, ma anche fuori (cioè nel governo) Di Battista fa ancora un po' paura (...) Dibba aveva già provato, forte dell'asse con il figlio di Gianroberto, a candidarsi alla guida di tutto il cucuzzaro.

Ma Grillo lo aveva incenerito. Meglio un ufficio politico con tutti dentro (da Taverna a Fico, passando per Di Maio e Patuanelli) e magari un portavoce. Soluzione democristiana (scuse preventive per il banale accostamento) per tenere insieme il corpaccione parlamentare grillino e tutte le anime. E così ieri è uscita che se Crimi e Casaleggio lanciassero oggi questo voto per decidere se mantenere il capo oppure no, una trentina di parlamentari se ne andrebbero. Disgustati. Perché? Hanno paura - se rimanesse il capo unico - del ritorno del subcomandante Dibba".

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