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Alessandra Ghisleri, sondaggi e scenari: "Toscana rossa, ma gli elettori a volte stupiscono"

Fausto Carioti
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L'orrida legge sulla par condicio ci impedisce di parlare di numeri. Con Alessandra Ghisleri, regina dei sondaggisti, possiamo però discutere di ciò che tra pochi giorni spingerà gli elettori di sette regioni a votare per un partito piuttosto che l'altro, ragionare su come i leader hanno impostato la campagna elettorale e cercare di capire cosa accadrà il 22 settembre.

 

 


Dottoressa Ghisleri, ancora una volta la sinistra ha fatto una campagna elettorale "contro". Contro Matteo Salvini, contro Giorgia Meloni, agitando lo spauracchio sovranista. È una strategia che ai progressisti conviene, questa della grande chiamata alle armi contro il nemico che minaccia la democrazia? O rischia piuttosto di fare il gioco del centrodestra?
«Negli ultimi anni si è diffusa l'idea che il delineare i confini dello scontro politico alzando i toni verso l'avversario aiuti l'elettore a giocare in casa secondo i registri più convenzionali della tradizione dei partiti. Avere un nemico aiuta nella declinazione delle proprie iniziative "contro". Questa modalità ha contagiato tutti partiti, ognuno con i suoi "migliori" cavalli di battaglia».
Tra gli italiani che voteranno per il centrodestra, quanti lo faranno nella speranza di dare un colpo al governo?
«È assolutamente necessario distinguere tra il voto per il rinnovo delle cariche istituzionali-amministrative e il voto al referendum. Nel primo caso tutti gli elettorati cercheranno di trovare le loro migliori risposte nei candidati di riferimento e qualcuno le potrà trovare anche in personalità di partiti politici diversi dal proprio credo politico. In merito al referendum, la situazione che si riscontra è molto più trasversale di quanto si pensi rispetto alla possibilità di incasellare il voto dentro le gabbie di appartenenza politica. Nonostante i diktat dei leader dei partiti, ogni elettore voterà secondo le proprie convinzioni e percezioni».
Tra gli addetti ai lavori, il pathos maggiore riguarda il risultato della Toscana. È davvero diventata contendibile? Glielo domando perché lo si diceva pure dell'Emilia-Romagna, e si è visto come è andata...
«La memoria del voto nei confronti di determinate forze politiche in alcune regioni italiane rimane salda e ancora molto sentita. Tuttavia, il bello della politica è proprio il fatto che gli elettori sono sempre pronti a stupire».
La Liguria è l'unica regione in cui si è realizzato l'accordo tra Pd e M5S su un unico candidato, Ferruccio Sansa. Crede che i voti dei due partiti si possano davvero sommare, in questa regione e un domani altrove?
«La politica ci ha insegnato che le leggi dell'algebra non hanno sempre valore. Inoltre nel voto amministrativo le indicazioni dell'elettorato mettono sempre al primo posto la scelta del candidato al di là del suo colore politico. Se ha lavorato bene è probabile che riceva consensi anche da elettori di partiti delle parti avverse. Un'altra possibilità è che il cittadino, non trovando corrispondenza nelle sue idee, si trovi di fronte al bivio se votare "turandosi il naso" o astenersi».
Chi ha più "spocchia" nei confronti dell'altro? Gli elettori tradizionali del Pd verso i parvenu grillini, o questi ultimi verso il «partito di Bibbiano»?
«Credo che la "spocchia" tra Pd e M5S, come lei la chiama, sia un argomento ormai archiviato, visto le rinnovate aperture e i nuovi compromessi raggiunti».
Qual è oggi, dei leader nazionali, quello in grado di dare più "valore elettorale aggiunto" al proprio partito?
«Viste le attuali condizioni interne ai principali schieramenti, pur giocando una partita in lontananza per colpa del virus, quel "valore elettorale aggiunto" al proprio partito che è stato incarnato perfettamente negli ultimi venticinque anni da Silvio Berlusconi trova la sua eredità, solo in certe sfaccettature diverse per ognuno, in Matteo Salvini, Giorgia Meloni, Carlo Calenda e Matteo Renzi».
Gli elettori veneti percepiscono davvero il dualismo tra Salvini e Zaia? O è una cosa che esiste solo nei retroscena di noi giornalisti?
«Gli elettori veneti cercheranno di eleggere il loro migliore presidente di regione, non credo che si preoccupino di dualismi interni al partito della Lega».
Giuseppe Conte sinora si è tenuto ai margini dalla sfida. Ha fatto bene a non spendersi per i candidati dei partiti che lo sorreggono? Sarebbe stato utile alla causa, se si fosse impegnato di più?
«Il presidente del consiglio è intervenuto nel dibattito politico solo nell'ultima settimana, a 15 giorni dalle elezioni, e le influenze sulle indicazioni di voto possono essere importanti sia in positivo, sia in negativo. È sicuramente una voce rilevante, che sta raccontando agli italiani un Paese come dovrebbe essere, tuttavia ciascun elettore vive una propria quotidianità che non sempre trova confronto nella narrativa politica».
La coincidenza col voto referendario, secondo alcuni, dovrebbe aiutare i Cinque Stelle, spingendo i loro candidati alle regionali sull'onda del "Sì" al taglio dei parlamentari. Ma è un'associazione che gli elettori fanno davvero?
«Credo che gli elettori non siano attratti da certi virtuosismi che appartengono maggiormente agli analisti».
Domanda non alla sondaggista, ma a chi si è guadagnato i gradi di politologo sul campo. In caso di ampia vittoria del centrodestra, diciamo almeno in quattro regioni su sei, crede sia davvero possibile per Conte e la sua coalizione non dare un significato politico nazionale a questo risultato?
«Il confronto si gioca su due livelli: il voto amministrativo e il voto referendario. Sarà utile mettere insieme tutti i risultati per trovarne il significato. E, come sempre accade ad urne aperte, il giorno dopo ogni soggetto politico sottolineerà una sua vittoria».

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