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Giulio Gallera, l'intervista: "Sui vaccini non ho sbagliato. Nel governo c'è chi lavora per screditare le regioni"

Lorenzo Mottola
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Libero qualche giorno fa l'ha definito il "Caprone espiatorio": Giulio Gallera è stato per mesi al centro di una campagna stampa contro Regione Lombardia. Un'offensiva che alla lunga gli è costata la poltrona. E pensare che a marzo tutti, da sinistra a destra, pensavano a lui come futuro candidato alle comunali milanesi.

Gallera, è passato quasi un anno dall'inizio della pandemia e di errori ne sono stati fatti migliaia in Italia. Solo una persona, però, ha perso il posto: lei.
«Io ho la coscienza a posto. La scienza e il tempo mi stanno dando ragione su tante cose che ho fatto. E molti lombardi hanno già capito. Nonostante quel che si è letto su di me sui giornali e sui social in questi mesi, quando ho lasciato sono stato letteralmente travolto dalla riconoscenza e dalla gratitudine di migliaia e migliaia di cittadini. Ho ricevuto 2.000 messaggi di appoggio su whatsapp, 15.000 like e commenti da sostenitori sulle pagine dei miei social».

Fontana ha detto che lei era molto stanco.
«Io faccio politica da tempo e quindi ho semplicemente preso atto che da parte dei partiti c'era una volontà di fare alcuni avvicendamenti. Conosco Letizia Moratti da tanti anni e sono sicuro che farà bene»

In particolare, sembra che la Lega abbia spinto per un cambio in giunta.
«Sì soprattutto la Lega ovvio. Quando ho saputo che c'era questa intenzione ho detto che non ero disponibile ad altri incarichi. Ho finito il mio turno di guardia, non ho chiesto altri posti. Ho fatto il mio dovere».

Politicamente ritiene un errore cedere alle pressioni che venivano dall'esterno contro la giunta lombarda? In fin dei conti non era da solo a prendere le decisioni per la Regione. E la sinistra ne approfitterà per dire che avete sbagliato tutto.
«È chiaro che tutte le scelte di questi mesi sono state condivise. E anzi abbiamo sempre agito sulla base delle indicazioni dei nostri scienziati, che sono i migliori. Condividendo le scelte con il nostro Cts. Per il resto spero che con questi cambi non abbiano dato l'impressione che ci siano problemi strutturali nella sanità lombarda. Io ero pronto a rimanere al mio posto soprattutto perché non passasse il messaggio che non era stato fatto tutto al meglio».

Nessun errore?
«Errori certo che ce ne sono stati, ma bisogna tener presente che la Lombardia è stata travolta - e ha reagito in maniera efficace - in un momento in cui nessuno sapeva cosa fare. Nessuno ci ha detto di comprare mascherine, tamponi e così via. Nella seconda ondata poi abbiamo dimostrato di saper dare risposte migliori rispetto ad altre regioni o Paesi».

A quali regioni fa riferimento?
«Siamo stati paragonati spesso al Veneto o alla Germania durante la prima ondata. In questo momento, però, sono 75mila i positivi in Veneto contro i nostri 57 mila. E loro hanno meno della metà dei nostri abitanti. La Germania invece è al terzo lockdown, con regole molto rigide, perché la cancelliera Merkel ha ammesso che la pandemia era ingestibile».

In particolare, lei paga per la gestione della campagna vaccinale, che è partita a rilento.
«Sì, però alla fine si è verificato ciò che avevo detto. È assurdo fare classifiche sulla base dei primi due giorni di somministrazioni dei vaccini, soprattutto in una regione come la nostra che è stata martoriata dalla pandemia e dove tanti medici non hanno fatto un giorno di riposo per mesi e mesi. Avremmo dovuto richiamare 12mila persone dalle ferie. E per niente. Oggi a distanza di 10 giorni siamo la regione che ha fatto più vaccini in assoluto e che ne fa di più al giorno. Chi è partito prima ha dovuto rallentare perché non ci sono certezze sull'arrivo delle dosi dalle aziende produttrici. Era una polemica strumentale. Noi avevamo un programma che prevedeva di vaccinare tutti nei tempi corretti».

Quella famosa classifica è stata diffusa dal governo, pensa che ci sia stata una certa malizia nel volerla diffondere in quel momento?
«Io quel che ho fatto in tutti questi mesi è cercare la collaborazione istituzionale, tranne in qualche momento di scontro, per esempio quando sono arrivate mascherine che sembravano stracci. Da parte di altri c'è sempre stato il tentativo di screditare la nostra amministrazione. Ovviamente penso ai mass media, ma c'è anche chi questi media li ha ispirati. Non parlo del ministro Speranza, con il quale abbiamo sempre avuto un buon rapporto. Ma di altri che criticavano la Lombardia da Roma mentre il governo non inviava respiratori, soldi e risorse per l'emergenza. Per non parlare delle siringhe sbagliate».

In particolare quella famosa classifica veniva dagli uffici del commissario Arcuri.
«Sì, ma io faccio un discorso generale, che riguarda anche altri momenti. C'è stato un tentativo di mettere le Regioni una contro l'altra con un obiettivo preciso, quello di togliere potere alle Regioni sulla sanità per trasferirlo a livello centrale. E questa sarebbe un'idea gravissima».

La Lombardia ora torna in zona rossa, anche in questo caso Fontana protesta.
«E fa bene, i dati sono chiari, oggi la Campania ha 72mila positivi e diventa gialla, il Lazio 77mila e sarà arancione. Noi siamo a 57mila e andiamo in zona rossa? Anche sui ricoverati abbiamo numeri migliori degli altri. E sono in miglioramento. Il problema è che usano dati vecchi di settimane».

Come mai, secondo lei, il governo ha deciso di inasprire i divieti? Non c'è alcun picco di contagi, pare.
«Purtroppo gli esperti pensavano che per contenere la pandemia bastasse fare i tamponi e il tracciamento. Questo si diceva della Germania. Alla fine s' è visto che non è così, l'unica soluzione è il distanziamento sociale, che si agevola coi divieti. Quindi queste misure a volte servono, anche perché quello che avviene in Europa ci indica che la situazione va peggiorando, anche perché le nostre strutture sanitarie sono ancora sotto pressione».

Intanto è partita la campagna di disobbedienza civile dei ristoranti, che riaprono alla clientela. Che ne pensa?
«Bisogna trovare un equilibrio. Non si può ogni tre giorni dire a un negozio di vestiti di riaprire o di chiudere. Allentare le misure, però, ora forse era troppo rischioso. Alle chiusure, però, bisogna sempre accompagnare ristori veri e sostanziosi per i settori più sacrificati».

Tra poco, si spera, dovrebbe partire la fase due della vaccinazioni: quelle di massa. L'Italia è pronta a sottoporre a profilassi centinaia di migliaia di persone ogni giorno? «Partiamo da un dato: il nostro sistema sanitario nazionale ha delle debolezze, perché per anni ha subito tagli, pur rimanendo miracolosamente nelle prime posizioni al mondo per prestazioni. Nel 2019 abbiamo investito il 6,4% del Pil, mentre la media europea 8,5 e la Germania il 9%. Da qui deriva il primo grande problema che dovremo affrontare».

Quale?
«Non abbiamo il personale necessario. So che ci stanno lavorando, ma per ora non hanno risolto il problema. E non possono pensare di scaricare tutto sui medici di medicina generale, che hanno in media 1.500 pazienti l'uno. Né si può pensare di mettere ancora gli ospedali sotto pressione senza aumentare il personale. Manca un piano nazionale».

Traduco in "non è ancora pronto nulla". Quanto ci potrebbe volere a vaccinare tutti senza risorse straordinarie?
«Non ne ho idea, ma senza un adeguato supporto in termini di personale ci potrebbero volere anni. Questo non è minimamente praticabile se l'intento è quello di far ripartire il Paese. Speriamo solo che non venga delegato tutto alle regioni, magari continuando a mandare siringhe sbagliate da Roma».

Lei ora cosa farà?
«Tornerò a fare il consigliere. Sicuramente mi sono tolto un peso. Sono psicologicamente stanco: dal 20 febbraio non c'è stato un giorno senza un problema. In primavera abbiamo lavorato sulla macchina dei tamponi e siamo riusciti a portare da 20 a 40mila al giorno la nostra capacità di esecuzione. In estate abbiamo effettuatro screening mirati, ad esempio sui macelli e le aziende agricole. Poi il 14 agosto siamo partiti con i tamponi a chi rientrava da Spagna, Croazia, Grecia e Malta. Io il 15 mi sono infortunato alla testa procurandomi due ferite che hanno richiesto 30 punti di sutura. Il 18 agosto ero già in ufficio sono stati mesi pesanti».

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