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Open Arms, Giulia Bongiorno farà processare anche Di Maio e Conte? Per Mario Draghi un grosso problema

Alessandro Giuli
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La maggioranza di Mario Draghi ha un grosso guaio giudiziario da affrontare: Matteo Salvini non sarà il solo imputato per sequestro di persona a finire sotto giudizio a Palermo per il caso Open Arms. Il perché lo ha spiegato ieri alla Stampa il suo avvocato, Giulia Bongiorno: «Citerò l'ex premier Giuseppe Conte e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio per dimostrare che il divieto di sbarco fu frutto di una valutazione politica collegiale dell'intero governo». Si spalancheranno insomma le porte di un processo politico in piena regola, perché politica, anzi parlamentare, è stata la decisione di mandare a processo l'ex capo del Viminale dopo il ribaltone estivo del 2019. E tutto ciò va ben al di là delle questioni strettamente giudiziarie e delle differenze con la vicenda della nave Gregoretti per cui a Catania il gup ha optato per il non luogo a procedere. Il sopraggiunto dissidio con i ministri grillini Elisabetta Trenta (Difesa) e Danilo Toninelli (Infrastrutture e Trasporti), che all'epoca dei fatti erano ormai ex alleati di governo nell'esperimento gialloverde ma in un primo momento avevano condiviso la linea rigorista di Salvini, non cambia la sostanza delle cose: la chiamata in correo preannunciata da Bongiorno - o tutti innocenti o tutti colpevoli - costringerà lo stato maggiore del Movimento Cinque Stelle a fronteggiare gli effetti spettacolari del circo mediatico giudiziario siciliano e i contraccolpi si avvertiranno fino a Palazzo Chigi. Lì dove il premier Draghi credeva di aver pacificato i partiti in nome dell'unità nazionale e invece sta realizzando d'essere seduto sopra una polveriera.

 

 

 

Pd alla deriva

C'è da immaginare che più d'un grillino, a cominciare da Di Maio che è governista a prescindere, avesse sperato nel proscioglimento del leader leghista. Il silenzio pudibondo dei vertici pentastellati è stato al riguardo abbastanza eloquente, mentre l'incauto neosegretario del Pd Enrico Letta aveva invece mostrato l'ansia di lucrare qualcosa per vie tribunalizie esibendosi alla vigilia in un selfie con indosso la felpa di Open Arms accanto al fondatore della Ong. Scelta comoda, la sua, che tuttavia non tiene conto delle difficoltà innescate nel rapporto con gli alleati prediletti (i grillini, per l'appunto) e con quelli concupiti (i berlusconiani), oltreché con il malsopportato Carroccio. E in effetti la decisione del tribunale ha ricompattato il fronte di centrodestra, con Forza Italia irrigidita dal "metodo Berlusconi" inflitto a Salvini e Giorgia Meloni subito pronta a scavalcare le recenti incomprensioni con la Lega per disporsi al fianco dell'imputato in formazione difensiva. Risultato: da sabato scorso il Pd si conferma un partito alla deriva, imprigionato in una rotta giustizialista che tuttavia mette in una condizione di forte imbarazzo proprio i rappresentanti parlamentari del partito delle procure. Oltretutto Salvini ha poco da invidiare al Cavaliere, quando si tratta di ritorcere i propri infortuni giudiziari contro gli avversari politici di sempre, additati al pubblico ludibrio come sciacalli privi di consenso ma non del potere assicurato dalla rimozione dell'arcinemico per vie giudiziarie. Uno schema simile si presentò quando Berlusconi - condannato in via definitiva - fu espulso dal Parlamento con un voto in Senato nell'autunno del 2013, in omaggio a un'applicazione ottusa e retroattiva della legge Severino: l'allora premier non mosse un dito per lui, se non per spingerlo dal dirupo.

 

 

 

Lezione da imparare

Ebbene, quel presidente del Consiglio era Letta e, su mandato del Quirinale, aveva fondato la sua fragile maggioranza grancoalizionista sui voti dei berlusconiani. Sappiamo come è andata a finire per lui, di lì a poco rottamato da Matteo Renzi. Sicché o Letta non ha imparato nulla dal passato oppure ha capito che il governo Draghi ha i mesi contati e sta lavorando in vista del voto anticipato. Probabilmente entrambe le cose. Fatto sta che ora sulla tenuta dell'esecutivo Draghi incombe un'incognita in più, con una bomba a orologeria tribunalizia che si aggiunge alla battaglia sulle riaperture in vista d'una campagna elettorale che s' indovina già lunga e turbolenta.

 

 

 

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