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Luca Morisi, l'ora del fango e del fuoco amico su Salvini: “Vogliono un successore”

 Luca Morisi

Pietro Senaldi
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La Bestia leghista è morta, è l'ora di altre bestie, che già si stanno avventando sulla sua carogna. Tutti contro Matteo Salvini è il tema del giorno. Il capitano non ci sta e parla di «schifezza mediatica». I fatti. Il guru dei social leghisti, Luca Morisi, è indagato per cessione di stupefacenti. L'accusa è incompatibile con la gestione della macchina mediatica del partito, quindi il re della comunicazione si dimette prima che Salvini lo cacci. Matteo gli esprime solidarietà umana ma è categorico sui comportamenti: «Chi sbaglia, paga». Naturalmente la verità è tutta da accertare, e subito la faccenda si complica, perché esce la notizia che anche uno dei giovani a cui Morisi avrebbe ceduto la droga è accusato di cessione di stupefacenti. Siamo già al guazzabuglio, si saranno scambiati le dosi... Poco importa, la sinistra fiuta sangue e parte il massacro.

 

 

I giallorossi si giustificano: siccome Morisi ha trasformato Salvini in un propalatore di odio, noi da bravi giustizieri gli rendiamo la pariglia. E vai di diktat e affermazioni deliranti: Matteo chieda scusa, visto che ha un amico che usa droga voti sì al referendum per legalizzare la marijuana, adesso che non c'è più la Bestia i clandestini non sono più un problema anche se quest'anno ne sono già entrati 50mila; si arriva fino a rinfacciargli di aver cavalcato lo scandalo dei bambini di Bibbiano, malgrado M5S abbia fatto molto peggio. In realtà del guru non interessa a nessuno. Il bersaglio è il leader leghista, i colpi arrivano da tutte le parti e l'interessato tenta di controbattere: «I soldi dalla Russia, gli affari mafiosi di Siri, gli errori dei parlamentari, il fascismo di Durigon... Sto ancora aspettando che queste accuse si tramutino in fatti». E poi perché chi ha un amico che usa gli stupefacenti dovrebbe diventare tollerante? La reazione naturale, insegnano i genitori di qualsiasi tossicodipendente, è piuttosto l'inversa: essere ancora più rigidi, e infatti Matteo stringe le viti: «La droga è sempre morte».

BRAMA DI CONTRAPPASSO
Ma ogni difesa è inutile: c'è brama di contrappasso. Sembra che la politica aggressiva l'abbia inventata la Lega di Salvini e che la criminalizzazione dell'avversario non sia nata con Tangentopoli prima, come tentativo di golpe giudiziario, e poi immediatamente elevata a schema politico con Berlusconi, quando il successo elettorale del Cavaliere tolse la torta da sotto le zanne dei comunisti di Occhetto, che si erano cambiati anche il vestito in vista del pranzo di gala per apparecchiarsi al potere. Il processo deve ancora partire ma c'è già il condannato: Salvini. Il capo d'incriminazione non è la droga, e nemmeno sono le seratine di Morisi, che rientrano nel canovaccio di tutto quel che la sinistra tollera, al punto da portare in consiglio dei ministri proprio ieri la proroga dei tempi per il referendum sulla cannabis, dopo che si è scoperto che c'è qualcosa che non funziona nelle firme raccolte finora.

 

 

L'accusa è che Matteo ha citofonato alla famiglia di uno spacciatore, ha favorito la discriminazione combattendo l'immigrazione clandestina, ci è andato troppo pesante con la Fornero sulle pensioni. Insomma, è stato aggressivo con gli avversari quasi quanto loro, che gli danno del fascista anche quando chiede di votare per avere più poteri, sono stati con lui. Ma si sa, la sinistra è indulgente con i suoi eccessi e spietata con le sbavature altrui. Il refrain è che Morisi è il Diavolo, si è inventato lui il Capitano e ne ha fatto un mostro. Nei sogni dei compagni, ora che finalmente Satana è chiamato a scontare i suoi peccati, anche la sua creatura ha i giorni contati. E così si prova a scavare un fossato per isolare Salvini. Giorgetti dice che a questo giro nelle città per il centrodestra è dura e che a Matteo e Giorgia conviene mandare Draghi al Quirinale e poi votare, per non trovarsi qualcuno di peggiore al Colle e non fare la fine di Bersani, che si è visto sgretolare la sua maggioranza da Monti e dal capo dello Stato, e subito la sinistra si precipita a fargli gli occhi dolci.

Sembra di rivivere il caso Fini, con i progressisti che hanno mandato a schiantarsi il presidente di An, blandendolo e incitandolo a sfidare Berlusconi. Il Capitano dice di non leggere le interviste di Giorgetti e subito la stampa di sinistra parla di divisione. Difficile che il ministro di Cazzago Brabbia ci caschi, ma è un fatto che nella Lega solo Salvini ha parole non totalmente negative per Morisi. I più tacciono, e questo può anche essere l'ordine di scuderia, che vuole che nei momenti di difficoltà comunichi sempre solo il leader. Ma qualcuno, come il deputato ultraconservatore Pillon, non riesce a trattenersi e parla di «corrente di Mikonos», alludendo maliziosamente all'ex responsabile della Bestia. A buon intenditor, poche parole.

 


 

PIÙ TOLLERATO CHE AMATO
Chi meno sa, più esterna. La vulgata è che, se le elezioni amministrative dovessero andare male per la Lega, all'inizio del prossimo anno si faranno i conti, magari con un congresso per tentare la spallata contro il Capitano. Difficile, anche perché non si vede il successore, ma la situazione è critica e necessita qualche sviluppo. Di fatto, la disgrazia capitata a Morisi è stata vissuta come tale unicamente dal segretario, perché l'inventore della Bestia era più tollerato che amato dalle eminenze del partito. La macchina del consenso si è inceppata da un annetto e sul banco degli imputati era finito proprio il guru mantovano. Quando si è al governo serve un'altra narrazione. Sono in tanti a pensarlo nel Carroccio, e altrettanti pensano che l'inchiesta di Verona sia in qualche modo funzionale allo scopo.

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