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Lega-Pd, asse per la "rivoluzione elettorale": occhio, scende in campo Roberto Calderoli

Fausto Carioti
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Mentre Matteo Salvini dice che «va bene il sistema elettorale attuale» e che «il proporzionale significa il caos», il "suo" Roberto Calderoli, padre del Porcellum, tratta con il fiorentino Dario Parrini, presidente della commissione Affari costituzionali («Uno che risponde al proprio ego e a Letta», dicono i colleghi di partito). E, insieme a lui, discute proprio di come cambiare il sistema elettorale attuale. Cancellando i collegi uninominali (74 al Senato e 148 alla Camera) in modo da far sì che l'intero prossimo parlamento sia scelto con un sistema proporzionale, per quanto sui generis. L'insofferenza verso la legge elettorale in vigore è diffusa e non riguarda solo Lega e Pd.

Nei collegi vince il candidato che prende più voti, e quindi i partiti coalizzati sono costretti a sostenere un unico nome. Questo crea almeno due problemi. Il primo è ai partiti stessi, che litigano sino all'ultimo per scegliere quanti (e quali) collegi debba avere ognuno. Il secondo è agli elettori, che spesso non possono votare chi vorrebbero. Ad esempio ci sono italiani di Fdi, contrari al Green pass, che nel collegio hanno dovuto votare per un esponente di Forza Italia, il quale la pensa all'opposto. Da qui, l'idea su cui stanno lavorando Calderoli e Parrini. E le coalizioni? E la «governabilità»? La risposta dei due esperti è un sistema in cui i partiti si presentano apparentati in coalizioni, ma ognuno con la propria lista, senza candidati comuni.

 

 

Se la prima coalizione ottiene più del 40% dei voti, vince un premio che le assegna la maggioranza (il 55 o il 60%) dei parlamentari, e dunque il governo del Paese. Se nessuno arriva a quella soglia, ci sono due possibilità: la prima è lasciare le cose così, e cioè costringere i partiti a formare nuove alleanze per governare; la seconda è far decidere al ballottaggio a quale coalizione debbano andare quel premio e il governo. Aspetti importanti, su cui si sta ragionando. Non è detto che il progetto si concretizzi. Enrico Letta e Salvini hanno messo al lavoro i tecnici, ma tireranno le somme una volta eletto il successore di Sergio Mattarella. Il segretario del Pd ha altre due strade davanti. La prima, la più semplice, prevede di lasciare il sistema attuale, provare a mettere insieme una coalizione "acchiappatutti" (da Calenda a Speranza, passando per Conte), e andare così allo scontro frontale col centrodestra. L'altra opzione è quella opposta, consigliata a Letta da chi, guardando i sondaggi, non crede che il "nuovo Ulivo" possa vincere.

 

 

 

 

Tanto varrebbe, quindi, puntare su un proporzionale vero e proprio, con una clausola di sbarramento attorno al 5% e senza premio di maggioranza, che andrebbe agli avversari. È il consiglio che la corrente Base riformista, ossia l'opposizione interna al segretario, ha dato a Letta, sapendo che questo favorirebbe «la scomposizione di un centrodestra diviso tra europeisti e sovranisti». Visto che non possiamo vincere, insomma, proviamo a far saltare il centrodestra, a liberare Forza Italia dagli alleati e vedere se, dopo il voto, si allea con noi. Silvio Berlusconi è contrario, ma la domanda dovrà essergli fatta dopo l'elezione del presidente della repubblica. Quando molte risposte (non solo le sue) potrebbero essere diverse

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