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Antonio Martino sulla corsa al Quirinale: "Berlusconi è perfetto, la sinistra lo sa. Napolitano? Il peggiore di tutti"

Fausto Carioti
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L'avventura politica di Silvio Berlusconi, che tra due mesi potrebbe finire al Quirinale, era iniziata nel 1993 accanto all'economista Antonio Martino, liberale e conservatore: il programma "Meno tasse per tutti" fu opera sua. «All'inizio il rapporto era molto formale, ci davamo del lei», racconta oggi la storica tessera numero 2 di Forza Italia, ex ministro degli Esteri e della Difesa. «Ricordo che una volta mi disse: professore, se lei vale nove, non si fidi di chi vale dieci, perché le farà le scarpe».

E lei?
«Gli risposi: "Dottore, se ragiona così non andrà da nessuna parte, perché il grande leader politico non è uno che fa tutto da solo, ma uno che si è scelto collaboratori fidati e capaci"».

Berlusconi questa qualità non l'ha?
«Basta scorrere l'elenco dei presidenti delle Camere che ha fatto eleggere. A Montecitorio Irene Pivetti, Pier Ferdinando Casini e Gianfranco Fini: non ne ha azzeccato uno. Al Senato, Carlo Scognamiglio e Renato Schifani. Gli andò bene solo con Marcello Pera, che fu un ottimo presidente. Però lo sostituì con Schifani: una scelta che si rivelò deleteria, e non giovò nemmeno allo stesso Schifani».

Forse per questo il prossimo candidato di Berlusconi è lui stesso.
«All'inizio non ci credevo. Con tutte le case che ha, ero convinto che il palazzo del Quirinale gli facesse un baffo. E poi credo che baciare bambini, tagliare nastri e andare ai funerali non sia attività lusinghiera per nessuno».

Si sbagliava, almeno sulle sue intenzioni.
«Pare di sì. Sembra che Berlusconi sia davvero interessato al Quirinale. E credo che potrebbe essere un ottimo presidente della repubblica, se solo si astenesse dal considerarsi un politico».

Qual è il problema?
«Il buon presidente della repubblica non è quello che fa politica surrettiziamente, violando la Costituzione che gli impedirebbe di farla, ma quello che si limita a fare il presidente della repubblica. Il modello è Luigi Einaudi, che non si immischiò mai nella gestione della politica».

Il peggiore chi è stato?
«Di presidenti della repubblica dell'altro tipo ce ne sono stati diversi. Ma uno, in particolare, mi fu indicato da un esponente dell'ultrasinistra come il peggiore che l'Italia abbia mai avuto: era Giorgio Napolitano. Ho capito che c'era una ragione per cui i miglioristi erano accusati dagli altri compagni di essere i veri leninisti del partito».

Crede che il suo vecchio amico ce la possa fare?
«Le rispondo non da amico di Berlusconi, ma da osservatore esterno: uno come lui, in Italia, non c'è. Persino a sinistra si stanno rendendo conto di avere sbagliato nell'accanirsi così tanto verso la sua persona, nell'applaudire quei magistrati cialtroni che hanno provato in tutti i modi a metterlo in galera. Credo che un po' di complesso di colpa, nei suoi confronti, a sinistra lo abbiano».

Non le pare strumentale questo ravvedimento nei confronti del Cavaliere? Che lo stiano corteggiando solo per contrapporlo a Matteo Salvini e Giorgia Meloni?
«Forse, ma non ha importanza. Ciò che conta è che, al momento del voto, non potranno non tenere conto del loro mutato giudizio verso Berlusconi. Le loro alternative, del resto, quali sono?».

Mario Draghi, ad esempio.
«Ma non è uno di loro. E poi è più utile alla sinistra come presidente del consiglio che non al Quirinale».

Romano Prodi?
«Non se n'è più parlato, grazie a Dio, e spero che quell'ipotesi sia stata cancellata. La verità è che oggi non hanno un loro candidato valido da contrapporre a Berlusconi».

Paolo Gentiloni non potrebbe esserlo?
«Il discendente del conte Vincenzo Ottorino Gentiloni potrebbe essere un ottimo presidente della repubblica. È una persona per bene e ho stima per lui, anche se da quando è andato in Europa ha detto una serie di cavolate. Lorenzo Guerini, attuale ministro della Difesa, è un altro nome possibile. Il ministro precedente, Roberta Pinotti, pure. Arturo Parisi sarebbe formidabile».

Ma?
«Ma nessuno di loro, oggi, è preso in considerazione dalla sinistra per il Quirinale. Ed è possibile che, per cancellare in parte i loro sensi di colpa r nei confronti di Berlusconi, finiscano davvero per lasciarlo andare sul Colle».

Paradossalmente, il candidato Berlusconi sembra incontrare più ostacoli a destra che non a sinistra. La Meloni ha detto che, accettando di sedersi al tavolo con Enrico Letta, il Cavaliere ha rinunciato ad ogni aspirazione quirinalizia.
«Con la Meloni mi scontrai una volta, quando era ministro della Gioventù del governo Berlusconi. Aveva proposto una legge per la creazione delle comunità giovanili. Intervenni alla Camera per dire che un simile provvedimento, nel congresso degli Stati Uniti, sarebbe stato considerato "pork barrel legislation", legislazione volta a far mettere le mani nel barile del porco salato. Risata generale dell'aula e provvedimento rimandato in commissione».

Immagino la reazione.
«Venne da me furibonda per dirmi che quel provvedimento costava poco. Le risposi che sarebbe stato ingiustificato anche se fosse costato dieci euro».

Però ne è passato di tempo.
«Vero. Non ci parlammo a lungo. Poi vidi che politicamente era cresciuta molto, e la andai a trovare. Le dissi che aveva imparato a muoversi in modo saggio. Mi invitò a partecipare a un webinar in inglese, e quando fu il suo turno scoprii che parla un inglese corretto e privo di accento italiano. È molto diversa da come tanti se la immaginano. Ho stima per lei».

Stima pure Salvini?
«A volte dice cose che condivido. Ma nemmeno quando lo fa vedo in lui la credibilità necessaria per fare il presidente del consiglio».

Resta il fatto che lui e la Meloni appaiono tiepidi dinanzi alla candidatura di Berlusconi. Che vuole dire ai leader di Lega e Fdi?
«Che l'unità dei partiti di centrodestra è nell'interesse dell'Italia. Se il centrodestra si spacca su queste questioni, lascia la porta aperta ai nostri nemici. I quali, pur senza avere nulla di solido in comune, hanno almeno la sensatezza di mostrarsi uniti».

Se non è Berlusconi, il candidato del centrodestra, allora chi?
«Ho menzionato Marcello Pera, ma non è il solo. C'è stato un momento in cui il gruppo parlamentare di Forza Italia era il più qualificato. Avevamo più laureati e professori universitari rispetto a ogni altro gruppo. Soprattutto, avevamo persone che non erano entrate in politica perché non sapevano fare altro, ma perché avevano avuto successo come notai, avvocati, medici e giornalisti. Si erano appassionati alla politica e volevano perseguire il bene del Paese. So che può sembrare ingenuo, ma era così».

Il suo nome per il Colle era già girato in passato. È interessato?
«Nell'ultrasinistra, dove ho diversi amici, qualcuno lo ha proposto anche stavolta. Ho risposto che ne faccio volentieri a meno».

Resta il fatto che sinora c'è stato un solo liberale al Quirinale, ed era appunto Einaudi.
«L'Italia che uscì dalla seconda guerra mondiale era dominata da due gruppi: i cattolici e i comunisti. Il gruppo peggiore era interno ad entrambi, ed era quello dei cattocomunisti. Una volta mi trovai a parlare con un domenicano, uomo molto in gamba. Gli dissi: padre, tra un comunista ateo e un comunista cattolico, lei chi preferisce? "Ovviamente il primo", mi rispose, "perché ha un solo dogma, mentre l'altro ne ha due". Aveva ragione lui, i peggiori sono i cattocomunisti. Come Rosaria Bindi».

Che a sinistra qualcuno vorrebbe portare al Colle.
«Dio ce ne scampi. Einaudi fu sostituito al Quirinale da un cattocomunista che si chiamava Giovanni Gronchi. Fu un presidente della repubblica arrogante e antipatico. Poi venne Antonio Segni, uomo colto e vero signore. Ce ne furono altri, dopo di lui».

La morale?
«La morale è che abbiamo avuto un solo presidente liberale, ma molti altri sono stati capaci e meritevoli. Incluso Giovanni Leone, che fu trattato dalla sinistra in maniera ingiusta e vergognosa. Ora come presidente della repubblica potremmo avere un brianzolo dotato di una certa capacità imprenditoriale. A me non dispiacerebbe». 

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