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Mario Draghi "è accerchiato". Voci dalle sacre stanze: come il suo governo lo farà cadere

Salvatore Dama
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Un fronte, tanto eterogeneo quanto determinato, si schiera contro Mario Draghi, mentre il presidente del Consiglio è a Bruxelles per partecipare al Consiglio europeo. Si va dai grillini alla sinistra radicale, dai cattolici ai partigiani, fino alla Lega di Matteo Salvini. Tutti accomunati dal no all'aumento della spesa militare e al fatto che l'Italia invii armi all'Ucraina. Le due cose sono distinte, formalmente, ma rispondono alla stessa esigenza di difesa. Esigenza che è tornata di attualità, nei dossier europei, in seguito all'invasione russa, arrivata a pochi chilometri dai confini continentali. Draghi, parlando a Bruxelles, minimizza le polemiche interne e tira dritto. L'aumento delle spese militari, fino alla soglia del 2 per cento del Pil, è "un impegno preso dal governo italiano nel 2006" ed è sempre stato confermato da tutti gli esecutivi che sono succeduti a Palazzo Chigi.

 

 

SuperMario manda un messaggio ai grillini, i quali non vogliono tradire il programma elettorale del 2018, impregnato di pacifismo ideologico: «Non ci perdiamo in ricordi, ora l'esigenza è di riarmarci» come Italia e come Europa. «I conti si faranno poi, con la propria coscienza e con gli elettori, ma non è questo il momento». Già, però c'è da disinnescare una mina, che rischia di detonare al Senato. Lunedì o martedì è prevista una riunione di maggioranza con il governo per preparare l'arrivo in aula, a Palazzo Madama, del decreto Ucraina, quello che prevede l'invio di armi a Kiev e il piano accoglienza dei profughi. Il vero nodo è quello del 2%, che è anche la condizione obbligatoria se si vuole rimanere in ambito Nato. Un ordine del giorno sul tema è stato approvato all'unanimità alla Camera. Ma al Senato rischia di non passare per la contrarietà dei Cinquestelle. «Bisogna trovare un compromesso», propone il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, svelando il cambio di rotta del Pd. Che prima ha insultato i propri alleati, ma ora teme gli effetti dell'impuntatura grillina.

Il "compromesso" sta nell'elaborare un ordine del giorno più ampio, che tenga dentro il sostegno alle famiglie e alle imprese colpite dall'aumento dei prezzi causa conflitto; il tema della autosufficienza energetica; la questione dei profughi; e infine, nascosto e annacquato, l'argomento delle spese militari. Sufficientemente mimetizzato da non mettere in difficoltà i 5s e il loro leader, Giuseppe Conte, che ha minacciato una crisi di governo proprio sul tema del riarmo. Un escamotage che potrebbe non bastare. Perché c'è da fronteggiare anche l'opposizione di Fratelli d'Italia, che ha depositato al Senato un documento analogo aquello votato dalla maggioranza alla Camera, per provare a mandare in pezzi la coalizione draghiana. Al momento «non abbiamo presentato, come maggioranza, un odg che aumenti le spese militari, a differenza di quanto accaduto alla Camera», spiega la capogruppo di M5s Castellone, «faremo le nostre valutazioni, ma in questo momento la linea è di non votare quell'ordine del giorno di opposizione».

 

 

Meglio dare i soldi alle famiglie e alle imprese, dice il ministro delle politiche Agricole Stefano Patuanelli, che comprare armamenti. «Un italiano non comprenderebbe perché spendere 10 miliardi per aumentare le spese militari», dichiara il sottosegretario all'Interno Carlo Sibilia. Ma non sono solo i grillini. Anche l'ala sinistra del Pd mette in dubbio la linea pro Draghi del segretario Enrico Letta. Laura Boldrini, per esempio, ha già detto no all'invio di armi in Ucraina e all'aumento delle spese militari. Sulla stessa linea il segretario nazionale di Sinistra italiana, Nicola Fratoianni. E i partigiani dell'Anpi. Infine c'è il mondo cattolico. In fibrillazione dopo la condanna del Santo Padre sul riarmo. Parole sottolineate dal leader leghista Matteo Salvini («Francesco è una luce nel buio») e rilanciate con forza dal quotidiano Avvenire: «Meno male che il Papa lo dice chiaro e tondo che è una vergogna. Se noi italiani avessimo davvero dieci-dodici miliardi di euro da stanziare», scrive il direttore Marco Tarquinio, «non sarebbe meglio metterli subito su sanità, scuola e famiglia con figli?».

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