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Luigi Di Maio, la missione africana per il gas è un flop: conclusa solo una promessa

Fausto Carioti
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Se il governo italiano carica di enfasi un'intesa con l'Angola ritenuta secondaria dal governo angolano, forse a Roma stanno messi peggio di quanto vogliano far credere. È quello che è successo. Per chi si fosse perso le puntate precedenti, i ministri Roberto Cingolani (Transizione ecologica) e Luigi Di Maio (Esteri) sono volati in Africa al posto di Mario Draghi, risultato positivo al Covid. Mercoledì erano a Luanda, capitale dell'Angola, e ieri a Brazzaville, capitale della Repubblica del Congo. Scopo della missione: rimpiazzare una parte del gas che oggi ci arriva dalla Russia. L'azienda controllata dal Cremlino, Gazprom, ci fornisce 29 miliardi di metri cubi di metano l'anno, e l'intento del governo italiano era rimediarne almeno 5 dai due Paesi africani appena visitati. Come è andata?

 

 

 

Risposta breve: non avremo nulla in tempi rapidi, che sono quelli che più ci preoccupano; avremo, si spera, qualcosa in futuro, ma prima bisognerà investire nei due Paesi africani, la cui attività estrattiva è ancora molto indietro (nessuno dei due, per dire, appare tra i primi cinquanta produttori e detentori di riserve di gas del mondo nella rivista statistica della British Petroleum, la bibbia del settore). Una risposta più articolata viene dalla lettura dei testi pubblicati dopo i due incontri, ai quali ha partecipato anche l'amministratore delegato dell'Eni, Claudio Descalzi. La prima cosa di rilievo è che non è stato firmato alcun contratto di fornitura. Quelle siglate a Luanda e Brazzaville sono semplici lettere d'intenti: documenti meno impegnativi, intese preliminari in vista degli accordi veri e propri che si conta di stringere in futuro.

 

 


REAZIONI DIVERSE
Quanto al contenuto dei documenti firmati, ciò che è emerso non conforta. Il ministero degli Esteri angolano, nel proprio comunicato, presenta la cosa in termini molto vaghi, annunciando che il 20 aprile «Sua Eccellenza Luigi Di Maio» avrebbe compiuto «una visita ufficiale di alcune ore, su invito delle autorità della Repubblica dell'Angola». Si ricorda che «il governo italiano considera l'Angola un Paese prioritario per la sua strategia di cooperazione nell'Africa subsahariana dal 1989». Nulla sulla sostanza dell'intesa, tantomeno su eventuali impegni presi dall'Angola. Atmosfera ben diversa, di vero tripudio, è invece quella che si respira leggendo il comunicato della Farnesina, dal quale si apprende che a Luanda «è stata sottoscritta una Dichiarazione d'intenti per sviluppare nuove attività nel settore del gas naturale, dirette anche ad aumentare l'export verso l'Italia», nonché «per porre in essere progetti congiunti a favore della de-carbonizzazione e transizione energetica dell'Angola». Di Maio, ovviamente, ne approfitta per incensarsi: «Abbiamo raggiunto un altro importante accordo con l'Angola per l'aumento delle forniture di gas.

 

 

A un mese esatto dalla mia prima visita in Angola, si conferma l'impegno dell'Italia a differenziare le fonti di approvvigionamento energetico». Nulla, sino a ieri sera, è uscito dal governo della Repubblica del Congo, che neanche aveva annunciato l'incontro con la delegazione italiana. Manca, insomma, una comunicazione ufficiale sulla cosa più importante: le quantità e i tempi delle forniture di gas che dovrebbero arrivare in Italia. E manca proprio perché niente di vincolante è stato deciso.


LE FORNITURE «A REGIME»
Dettagli in più li danno gli uffici dell'Eni, spiegando che a Brazzaville il ministro congolese degli Idrocarburi e Descalzi hanno firmato «una lettera d'intenti per l'aumento della produzione e dell'export di gas», e che «l'accordo prevede l'accelerazione e l'aumento della produzione di gas in Congo, in primis tramite lo sviluppo di un progetto di gas naturale liquefatto (Gnl) con avvio previsto nel 2023 e capacità a regime di oltre 3 milioni di tonnellate (oltre 4,5 miliardi di metri cubi) l'anno». Significa che nel 2022 da lì non arriverà nulla, e che bisognerà investire in impianti d'estrazione per avere «a regime», ossia in un futuro non specificato, quel flusso annuale di 4,5 miliardi di metri cubi di gas. E se lavorare per il futuro è una buona cosa, non risolve il problema che minaccia di aprirsi da qui a breve. 

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