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Giorgia Meloni, messaggio agli alleati: "Pronti a governare con il centrodestra o da soli"

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Antonio Rapisarda
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Giorgia Meloni e i suoi sono pronti «a salpare» in direzione Palazzo Chigi. Con la tre giorni programmatica del MiCo – nel cuore della Milano capitale economica d’Italia – l’ultimo tassello di un mosaico iniziato nel dicembre 2012 è stato posto: da casa della destra, nata per chiudere l’annosa diaspora, a casa dei patrioti. Da partito dello 0,9% a primo partito d’Italia. E da qui, oggi, «campo dei conservatori», alternativo al campo largo del Pd e dei 5 Stelle: ossia della sinistra «ideologica» e di quella «demagogica». È questa la sfida maggioritaria con cui la leader di Fratelli d’Italia ha inaugurato, di fatto, la campagna elettorale per le Politiche 2023. L’impegno lanciato con “Italia, energia da liberare” è ambizioso: le idee e gli uomini di questo campo come argine al declino a cui «sembra condannata la nostra Nazione». Per farlo, in mezzo alla «tempesta» che ha investito l’Italia fra crisi pandemica e crisi ucraina  – e a cui il governo “dei migliori”, a suo avviso, non ha saputo fornire la ricetta giusta – è necessario qualcosa di più: in termini di “attrezzatura” e di visione. Ma anche di organicità. Un messaggio tutt’altro che cifrato rivolto i potenziali compagni di traversata: agli alleati (da ritrovare) del centrodestra. Le condizioni a Berlusconi e a Salvini sono tre: «Ci vogliono chiarezza, regole e orgoglio», come indicato nel suo discorso di chiusura.

 

 

 

Per chi ha guidato l’opposizione a Mario Draghi e ai due governi Conte, insomma, non è e non può essere più tempo della pesca delle occasioni, dell’improvvisazione e dell’uno vale uno. «Gli altri sono surfisti», ha spiegato, cavalcano le onde del consenso. «Noi siamo navigatori». La nuova metafora meloniana è chiara: il surfista si fa guidare dalla corrente, il navigatore «vuole dominare l’oceano». Anche in mezzo alla burrasca di questa stagione, insomma, l’unico disposito del suo progetto politico «è la rotta». Tracciare questa rotta è stato l’obiettivo del megaraduno programmatico di Milano. I numeri sono imponenti, da congresso vecchio stampo (come ha ricordato dal palco Filippo Facci): sono intervenuti più di 200 relatori, 5mila delegati e tanti big “esterni”, in rappresentanza di quei mondi produttivi, accademici e istituzionali che mai prima d’ora avevano guardato con così grande attenzione a un partito emanazione diretta della destra missina. La convention ha evidenziato proprio il “modello misto” del governo che ha in mente Meloni: classe dirigente con un forte radicamento, e società civile “operosa”, pronta a mettersi al servizio del «campo». Da questo punto di vista sono giunti endorsement di peso alla proposta di FdI, come quello di Luca Ricolfi, di Carlo Nordio, di Marcello Pera. Ma anche i colloqui avviati il “partito del Pil”: dall’ad di Terna Stefano Donnaruma all’ex presidente di Confindustria veneto Matteo Zoppas. Il tutto con la lectio magistralis di Giulio Tremonti, ormai guru del contro-deep state chiamato ad offrire a FdI linguaggi, relazioni e chiavi di accesso. 

 

 

 

Una prova di forza e di “testa”, insomma, che ha disorientato chi credeva o meglio di chi «sognava una destra sfigata» e minoritaria, ha ricordato ancora dal palco. «E invece noi siamo una destra moderna, vincente. Che non si è fatta mettere all’angolo». Nemmeno da chi credeva che il “no” al governo Draghi avrebbe rappresentato l’autoesclusione dal perimetro della governabilità: «Siamo rimasti all’opposizione, con convinzione, perché non si può risollevare l’Italia alleandosi con l’establishment». Il tempo sembra proprio averle dato ragione. E per Giorgia lo schema non cambia: «Non andremo al governo a tutti i costi. Ci andremo solo se lo vorranno gli italiani». Non le consorterie di ogni dimensione. Percé «soi non siamo né filo né anti. Noi siamo italiani. A testa alta in Europa, in Occidente. Non abbiamo padroni, non prendiamo ordini». La domanda che tutti i cronisti hanno provato a farle in questi giorni – a cui ha voluto contrapporre, in luogo delle beghe del centrodestra, l’urgenza delle tesi programmatiche – alla fine se la fa lei stessa. «Come farete se il centrodestra rischia di sciogliersi al sole?». Da una parte – assicura – con quei «milioni di italiani» che sono e vogliono alternativi alla sinistra. E qui è l’Opa diretta nei confronti dell’elettorato di centrodestra che non intende accettare la riedizione delle larghe intese “per mezzo” dell’eventuale ritorno al proporzionale. Dall’altra con chi politicamente vuole stare «da questa parte», ha fatto capire mostrando alla platea la direzione a destra. «La questione è semplice: noi siamo qui. Dall’altra parte c’è la sinistra: Voi», ossia Salvini e Berlusconi, «dove volete stare?». In attesa di questa risposta, e del famoso vertice che dovrebbe “scongelare” i rapporti interrotti con l’elezione di Mattarella, Giorgia è già salpata. Ma l’appello alla ricomposizione – a precise circostanze – è stato lanciato. Occorre provarci per la «maggioranza silenziosa che chiede un sussulto di orgoglio» al centrodestra e alla quale «daremo rappresentanza». Giorgia tutto questo vuole farlo con il centrodestra. «Speriamo di farlo col centrodestra. Ma lo faremo comunque noi di FdI».

 

 

 

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