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Elena Bonetti e gli Alpini, la ministra renziana zittita delle femministe: vietato dissentire

Pietro Senaldi
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Tutta la solidarietà maschile al ministro delle Pari Opportunità e della Famiglia, Elena Bonetti. Alla poverina ieri è stata fatta una domanda semplice -semplice: è d'accordo con l'idea delle femministe e di alcune donne e agit-prop della sinistra di sospendere per due anni i raduni degli Alpini dopo che sparuti gruppi di penne nere avrebbero infastidito in strada alcune donne nell'adunata della settimana scorsa a Rimini? La ministra è persona assennata, e avrebbe tanto voluto dire quel che si capiva pensa ma non ha osato esprimere: ovverosia che è una macchia per gli alpini che qualcuno di loro, più pieno di alcol che di ormoni, abbia dato noia alle passanti, ma che sarebbe grottesco, ingiusto, disonorevole per l'Italia, vendicativo e isterico, punire 400mila ex soldati per l'errore di pochi; ci penserà la giustizia, se ci sono stati dei reati, a regolare i conti.

 

 

 

EQUILIBRISMO DIPLOMATICO

La signora Bonetti però non ha detto questo. L'esponente di Italia Viva si è arrampicata sugli specchi per non scontentare le sue groupies, auspicando un Paese delle meraviglie dove un giorno nessun uomo infastidirà mai nessuna donna. Siamo d'accordo con l'augurio della ministra, ma non era questo il punto, come gli ha ricordato due o tre volte l'intervistatore, senza successo. Il siparietto è emblematico non solo del livello del dibattito femminile a sinistra sulle penne nere ma di come ormai la furia ideologica abbia sequestrato ogni possibilità di ragionamento e sbarrato ogni via a considerazioni di buon senso. Dal Covid alla guerra, dai temi ambientali a quelli dell'integrazione, e in questo caso alla difesa delle donne, i politici progressisti sono stati privati da sacerdotesse e sacerdoti talebani della loro parrocchia del diritto di pensare, mediare, trovare parole e soluzioni sensate. Una speranza ce la dà solo il denaro. Le donne del Pd di Rimini infatti, che avrebbero dovuto essere le più arrabbiate, hanno difeso a spada tratta gli alpini, e così ha fatto niente meno che la capogruppo dem alla Camera, Debora Serracchiani, in rappresentanza di quelle di Udine, sede della prossima adunata dei militari pennuti, le quali evidentemente sono pronte a correre il rischio di essere infastidite da qualche ubriacone piuttosto che perdere l'appuntamento e i milioni di euro di indotto che esso comporta, come invece auspicherebbero le varie Boldrini, Lucarelli ed Elly Schlein. In particolare quest' ultima, vicepresidente dell'Emilia-Romagna in quota lgbt, sostanzialmente imposta a Bonaccinii dal Pd, in pieno fervore giustizialista si era spinta a esporre la curiosa tesi per cui «per intervenire contro i militari non servono le denunce», si condanna a prescindere, per sentito dire. «Or che sei stata coi veci alpini, non sei figlia da maritar», recita il brano di un antico coro militare dei soldati dei monti, a dirci come i tempi siano più bui e oscurantisti oggi di cent' anni fa. I primi a rendersene conto sono proprio i dirigenti, maschi, del Pd. Il presidente Bonaccini, il leader territorialmente di competenza, ha sorvolato su quanto accaduto, forse per non farsi azzannare al collo dalla sua vice, e pure il segretario Letta per un giorno ha deposto elmetto e mimetica, per evitare di dire qualcosa che magari Boldrinova e compagne non avrebbero gradito.

 

 

 

FRONTE ROMAGNOLO

Si sono riparati dietro il «fatti gravissimi» pronunciato dal ministro della Difesa, Guerini, quello che non ha difeso la giornata degli Alpini, il 26 gennaio, data della vittoria di Nikolaevka, sul fronte russo, nel 1943, perché a quel tempo i combattenti erano fascisti, o comunque figuravano come tali. Se la vicenda non si chiuderà quanto prima, la prossima tappa vedrà le femminista dare di fascista alle piddini di Rimini o del Friuli.

 

 

 

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