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Mario Draghi, Giavazzi e il suo "metodo" dietro alla crisi di governo?

 Francesco Giavazzi

Alessandro Giuli
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E se il problema di Palazzo Chigi fosse (anche) Francesco Giavazzi? Non tanto lui in carne e ossa e titoli accademici, l'insigne economista di rito bocconiano - che poi in realtà insegna Politica economica ma vabbè - divenuto per meritata grazia tecnocratica il consigliere economico di Mario Draghi. Piuttosto è il giavazzismo, diciamo, inteso come metodo, carattere, atteggiamento impolitico e professorale che allontana il premier da quel male necessario chiamato "mediazione" con la rappresentanza parlamentare. Un modo di stare al mondo riassumibile in tre parole: prendere o lasciare.

ZERO DIALOGO - Non è questione da poco conto, per un governo sorretto da una maggioranza larghissima in partenza e ora in via di sgretolamento per la sopraggiunta incomunicabilità tra i partiti e il vertice della piramide di potere che ama "tirare dritto" a suon di decreti senza molto concedere e nulla concertare se non a posteriori. Ora, ammettiamo pure senza vergogna che ci ha favorevolmente stupito l'ultima sortita del nostro Prof. contro Madame Lagarde e la sua sventurata idea di alzare i tassi d'interesse della Bce per prosciugare la liquidità monetaria in (presunta) chiave anti inflattiva; e aggiungiamo volentieri che Giavazzi, dacché ha assunto il proprio ruolo di leading from behind, ha ben dismesso i panni del commentatore turboliberista con i quali dal Corriere della Sera ammoniva e monitava con le sue leggendarie articolesse culminate nel 2016 con la famosa "Agenda Giavazzi" che avrebbe dovuto cadenzare l'azione liberalizzatrice del governo allora presieduto da Matteo Renzi.

 

 

Nulla di nuovo, del resto, rispetto ai sermoni con i quali colpiva "luteranamente" il suo avversario preferito: quel Giulio Tremonti, ai tempi in cui gestiva le Finanze dell'Italia berlusconiana, colpevole di protezionismo e deficit spending e altri vagheggiamenti di "proposte inutili e irrealizzabili, come gli eurobond". È appena il caso di ricordare che almeno sul debito comunitario la storia e Giavazzi hanno ha finito per dare ragione a Tremonti.

Sia come sia, se prima il nostro senior advisor draghiano era una sorta di grillo parlante di natura speculativa, quasi disincarnata, adesso è vero l'esatto contrario: tutto prassi e zero dottrina, con in mano le pesantissime leve che muovono i gangli vitali della cosa pubblica. E sempre con lo stesso algido stile da Università privata: catena di comando verticale, silenzio operativo austroungarico, dialogo ai minimi termini.

Perciò si favoleggia di una concorrenza tra Giavazzi e il capo di gabinetto a Palazzo Chigi, Antonio Funiciello, gioviale tessitore del mezzogiorno con notevole duttilità e senso delle relazioni che da ultimo sarebbe stato scavalcato in più occasioni. Chissà.

 

 

Dopotutto a ciascuno il suo tempo e il suo spazio. E Giavazzi, appunto, non appare ma tracima quanto a deleghe e competenze. Basti pensare alla ricezione e applicazione della direttiva Bolkestein, che dietro il velo della concorrenza ha sciolto le briglie alla giungla degli oligopoli multinazionali anziché agli spiriti animali del buon capitalismo industriale. E soprattutto basti pensare alla gestione delle grandi partecipate di Stato (senza escludere le banche sussidiate come Monte dei Paschi), suo appannaggio privilegiato, assieme alla riforma del fisco e alla scrittura della cornice in cui incastonare il Pnrr.

EDITORIALI - Al riguardo risulta godibilissima la galleria degli "editoriali non scritti" da Giavazzi compilata con puntigliosa perfidia dal direttore di Startmag.it, Michele Arnese, un mastino nel suo genere, intitolata "Mister Francesco e Dottor Giavazzi". Vi si trova un autentico sillabario di casi imbarazzanti - dal dossier sulle reti nazionali perforate dalle intrusioni straniere sulle telecomunicazioni fino alla scarsa opacità sulle procedure relative alle nomine e alla trasparenza dei dati sui campioni nazionali - in cui all'amata mano invisibile mercatista del Dottor Giavazzi si sostituisce la manata più o meno salvifica di uno Stato onnipresente amministrato dai numerosi e acquartierati burocrati di carriera. Come Mister Francesco.

Si obietterà, keynesianamente, che quando il quadro di riferimento muta devono cambiare anche le relative idee. Figurarsi. Però sarà bene ricordarsi di tutto ciò, quando tornerà prioritario un certo rigorismo mitteleruopeo e anti mediterraneo molto in voga alla Bocconi (Monti docet) e il richiamo della foresta si farà nuovamente irresistibile... Ma per quel momento, magari, Giavazzi sarà già risalito in pompa magna sulla cattedra di Via Solferino. 

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