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Alessandro Amadori contro la sinistra: "Messaggi con un fondo terroristico"

Pietro De Leo
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«Gli italiani sono interessati, eccome alla politica. Non vedo per questa campagna elettorale un particolare effetto stagione balnerare. Però, nell'attuale momento storico, i cittadini si aspettano dalla politica una campagna elettorale di contenuto». Alessandro Amadori, politologo e direttore scientifico di Yoo Data, traccia con Libero una prima radiografia di queste prime settimane di duelli tra partiti in vista delle urne.

 

 

 

Ma come, professore, le temperature che sfiorano i 40 gradi, la voglia di prendersi una pausa da un anno difficile. E gli italiani davvero guardano a questa campagna elettorale?
«La società, da due anni a questa parte, vive una fase di crisi complessiva: sanitaria, economica, culturale, in campo geopolitico. Tutto ciò ha reso le persone più sensibili verso i temi politici. Poi, questo appuntamento con le urne è molto importante, perché a distanza di quasi cinque anni torna la possibilità di avere un governo politico, dopo quest' ultimo anno e mezzo di governo di unità nazionale guidato da un tecnico. Dunque, sulla sensibilità degli italiani verso la politica sono ottimista. Però c'è bisogno di dare centralità ai programmi».

Cosa non semplice, considerando la muscolarità del confronto italiano, non crede?

  «Visto il periodo, oggettivamente non sto parlando di programmidi centinaia di pagine. Ma gli italiani vogliono sentir parlare di idee. C'è piena consapevolezza, diffusa, che bisogna cambiare i meccanismi del Paese, dall'economia alla pubblica amministrazione, dal fisco alle infrastrutture e la sanità. Stavolta, non monopolizzare tutto con gli slogan o messaggi terroristici è un dovere».

Appurato che la sensibilità c'è. Però non è comunque più difficile raggiungere gli italiani in questo periodo dell'anno?

«Effettivamente il tema del delivering del messaggio c'è. È tutto più complesso rispetto ad una campagna elettorale normale. Trasformare gli interessi in effettivo coinvolgimento è un obiettivo meno agevole del solito».

 

 

 

Focalizziamoci sui messaggi emersi in queste prime settimane di campagna elettorale. Il centrosinistra dice: se arrivano le destre sarà il terremoto per i diritti, le libertà, la collocazione europea e atlantica dell'Italia. Funziona?
«È un messaggio profondamente ingiusto, che dovrebbe suscitare una certa ribellione presso l'opinione pubblica. L'Italia è una grande democrazia, è uno dei non tantissimi Paesi del mondo in cui si vota liberamente e in cui anche una giovane donna, proprio oggi, potrebbe diventare presidente del Consiglio, un po' come successe a suo tempo in India con una trentacinquenne di origine italiana che si chiamava Sonia Gandhi. L'idea che ci siano dei partiti da cui gli italiani si devono guardare perché rappresentano un pericolo per la stabilità italiana è mera propaganda, che fa leva su un messaggio in fondo terroristico. Non ha fondamento. Ho letto i 15 punti usciti dal tavolo del programma di centrodestra, ed è indicato con molta chiarezza che non è in alcun modo in discussione la collocazione italiana in ambito europeo, il suo atlantismo, l'aiuto all'Ucraina».

Sul piano elettorale, però, ha del potenziale?
«Non credo abbia alcun effetto sugli incerti. Lì, la differenza la fanno le soluzioni concrete ai problemi. Tuttavia può galvanizzare un pubblico già di area, e questo può essere comunque un fattore da non sottovalutare, perché il centrodestra rischia di più dall'astensionismo».

Altro tema è l'immigrazione, cavalcato in questi giorni da Salvini. È andato a Lampedusa, cuore e simbolo della criticità che colpisce l'Italia. Nel 2018 l'argomento fu decisivo alle elezioni per l'impennata di consenso della Lega. Oggi, vive ancora?

«Vive, ma in altra forma. Non più come paura dello sbarco in quanto tale, che invece era molto sentito nel 2018, ma va affrontato nell'ottica dei problemi che ci sono attorno l'integrazione. C'è la crescente consapevolezza di un popolo ombra di migliaia e migliaia di persone arrivate in Italia da altri Pesi, che avrebbero dovuto trovare un percorso di integrazione migliore e che invece vanno a popolare delle zone grigie delle nostre città, alimentando il degrado urbano. Io abito a Milano, e per fare un esempio non c'è dubbio che negli ultimi mesi ci sia stato un evidente peggioramento delle condizioni nella zona intorno alla Stazione Centrale. Dunque, il cuore del problema è più che altro una politica di integrazione e controllo, forse occorrerebbe rimodulare l'enfasi data alla questione sbarchi, che è un argomento di media intensità».

 

 

 

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