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Giorgio Gori contro Enrico Letta: "Il Pd non è il bene"

Antonio Rapisarda
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«Non credo alla superiorità etica della sinistra. Noi non siamo il bene, gli avversari non sono il male. E non penso che stia per tornare il fascismo». Parola, anzi cinguettio, di Giorgio Gori. E viene subito da pensare che forse non tutto il Pd viene per nuocere. Già, in questa campagna elettorale "apocalittica", paranoica, targata Enrico Letta & compagni (l'ultima del segretario: l'intervista alla Cnn nella quale ha legato in mondovisione l'avvento del centrodestra al governo a una disgrazia «per l'Italia e per l'Europa») c'è chi da quelle latitudini cerca di riportare il segretario dal metaverso al binario della realtà ma soprattutto sembra non poterne proprio più di quell'antifascismo «largo» che - lo ha spiegato così il professor Giovanni Orsina - si staglia «ancora una volta» come l'unico strumento «di una parte minoritaria che non sa più parlare altrimenti agli elettori».

 

 

 

LO SFOGO - Sulla stessa scia lo sfogo su Twitter del sindaco di Bergamo, rappresentante di quella cordata di amministratori dem pragmatici e sempre più insofferenti alla linea "occhi di tigre": «Vorrei che gli italiani votassero per noi perché convinti che su Europa, lavoro, clima, salute e diritti faremo meglio degli altri». Enrico: prendi nota. Certo, anche Gori deve concedere qualcosa al "luogocomunismo" di maniera («Non mi sfuggono ovviamente le simpatie che gli esponenti della destra nutrono per movimenti e regimi illiberali, e ne vedo tutte le insidie») ma il punto interessante dell'esponente piddì è il contro-dispositivo alla propaganda del suo stesso partito: «Non li batteremo con la paura ma convincendo i cittadini che siamo in grado, concretamente, di migliorare la loro vita».
Sulla concretezza, dopo l'abbraccio del Pd con la sinistra-sinistra di Fratoianni e il cedimento strutturale alla politica tutta bonus & tasse in nome della vecchia intesa giallorossa, ci sarebbe più di qualcosa da dire. Così come sul vincolo dei paracadutati che tanto hanno fatto storcere il naso a chi il consenso è riuscito ad ottenerlo "nonostante" il Pd stesso. Non a caso Gori, rieletto nel 2019 e sponsor dell'alleanza (infranta) con Calenda, ha commentato sconfortato il risultato e il metodo delle liste del Pd: «Giuro, rimpiango le preferenze».

 

 

 

 

AMAREZZA - L'amarezza del primo cittadino di Bergamo non è un fatto isolato. Anzi, si salda fatalmente con le critiche di chi già sta scaldando i muscoli per scalzare Letta jr dalla segreteria dopo il 25 settembre: Stefano Bonaccini. Due, solo negli ultimi giorni, le delusioni raccolte dal governatore riformista rispetto alle quali è stato costretto a fare buon viso a cattivo gioco. La prima riguarda le imposizioni in collegi blindati dell'Emilia-Romagna delle candidature di Pierferdinando Casini (a Bologna) e del verde Angelo Bonelli (ad Imola). «Mi auguro», auspicava al contrario alla vigilia, «non venga la tentazione di scaricare paracadutati nei territori perché adesso bisogna giocarsela in ogni collegio». Quanto poi ai "professori" - che teorizzano per il Pd la necessità di schiacciarsi a sinistra - Bonaccini ha replicato a nuora perché suocera, ossia Letta, intenda: «Invece che teorizzare strategie e soluzioni da un piedistallo, consiglierei di frequentare i territori, parlare con le persone, sapere cos' è una partita Iva. Si chiama "mondo reale" da affrontare, non "mondo virtuale" da commentare, magari seduti in salotto». O magari fra qualche settimana, per qualcuno, di ritorno nella cattedra parigina lasciata un anno e mezzo fa in direzione Nazareno.

 

 

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