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Giorgia Meloni, Vittorio Feltri: "Perché il centrodestra vincerà sempre"

Vittorio Feltri
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Non so voi, cari lettori, ma trovo questa interminabile polemica sui fascisti al governo, sul loro presunto ritorno in scena, sul pericolo che gli stivaloni neri calpestino i valori della democrazia o addirittura i diritti umani, una mediocre telenovela alla quale è bene non contribuire, neanche come "comparse".
Tuttavia essa offre l'opportunità per approfondire un altro discorso, diciamo parallelo. Perché la sinistra per dimostrare la propria vitalità, anzi, la propria esistenza, è costretta ad aggrapparsi a pretesti logori e sfilacciati come la rinascita del fascismo in Italia? Perché sente il bisogno, ogni volta che emerge un personaggio di qualche rilievo, un Bossi o un Berlusconi o una Meloni, di ricordare il balcone di piazza Venezia sul quale si esibiva il mascelluto? Vi sembrano argomenti adatti, questi, per ostacolare l'ascesa di nuove forze politiche? Adesso tocca alla Meloni.
Da mezzo secolo la sinistra, quando è in difficoltà, riesuma la salma di Mussolini e ce la sbatte in faccia. Chi ha buona memoria, non avrà dimenticato come venivano definiti i democristiani negli anni Cinquanta: clericofascisti.

 

 

 


Né avrà dimenticato gli slogan sessantotteschi contro chiunque sessantottino non fosse: fascisti, borghesi, ancora pochi mesi. Slogan dai quali si arguiva che, nel linguaggio dei barbari dell'epoca, fascista e borghese erano sinonimi.
Trascorrono i decenni, cadono i muri, tramontano le ideologie fideistiche, si dissolvono imperi che sembravano inattaccabili dietro cortine di ferro, ma i nostri partiti di sinistra, anche quelli che si sono dati una riverniciata, continuano ad agire allo stesso modo, quasi che il tempo si fosse fermato all'era di Giolitti. Partiti-mummie, conservatori sotto l'etichetta di progressisti della quale si fregiano abusivamente, irrigiditi in un antifascismo di maniera che impedisce loro di vedere altro nemico all'infuori del duce e dei suoi nipotini. E il fatto che i nipotini del duce non contino niente, non abbiamo un ruolo nel governo, non importa alla sinistra.

 

 

 

 

Che seguita, imperterrita, a identificarli in tutti gli avversari e sperpera, per combatterli, energie che potrebbe assai più utilmente spendere per ricostruire se stessa e diventare, finalmente, una valida alternativa, affidabile e moderna, dell'odiata destra. La quale destra sarà anche ciabattona - come sosteneva Indro Montanelli un giorno sì e l'altro pure-, sarà raccogliticcia, sarà un'armata Brancaleone, avrà pure un leader estemporaneo e naïf, sarà quel che sarà, ma c'è, e in pochi mesi ha trovato uno spazio destinato peraltro a crescere. Lo ha trovato perché lo ha cercato, ha avuto il coraggio di sfidare anche il ridicolo, ha fatto ricorso alle americanate: sondaggi a ripetizione, marketing, scienza della comunicazione di massa, pochi concetti ma chiari, nessuna concessione alle idee astratte, estrema attenzione ai problemi quotidiani che affliggono i cittadini, basso profilo ma altissima considerazione dell'elettore, nessun disprezzo per ciò che è popolare.
Già, popolare. Un aggettivo che alla sinistra invece fa orrore. E basterebbe analizzare i perché di questo orrore per capire il fallimento dei sedicenti progressisti.
Ai quali non piace la gente perché rende l'aria irrespirabile nella metropolitana, guarda la Tv, abita in affliggenti e opachi condomini di periferia, o - la più fortunata, la più operosa - in villette a schiera con i nanetti in giardino, va a Rimini invece che a Capalbio, legge poco e quel poco non sul Manifesto, ama il consumismo perché è meglio della carestia. Ai progressisti non pia- ce la gente perché vota, e vo- ta Lega, Fd'I. Scusate, ma etk per quale ragione dovrebbe votare per chi non la stima?

Il problema autentico di questo Paese non è la presenza di una sgangherata destra maggioritaria, ma la mancanza di una sinistra che non sia forcaiola, reazionaria, boriosa, antiquata, snobistica, chiusa al mondo occidentale, innamorata delle burocrazie, delle utopie, di leggi bellissime (come la 180, quella per i poveri matti) ma inapplicabili e inapplicate, delle scuole pubbliche e di tutti i servizi pubblici che tanto i progressisti non usano. Si, il guaio è proprio questo: una sinistra anacronistica, arcaica, rimasta a Luciano Lama e la sua orchestra piazzaiola, nostalgica dei dogmi marxisti, incapace di sbarazzarsi dei vecchi arnesi del comunismo e di darsi connotazioni moderne, europee, liberiste, sociali. Certo, Letta forse ha provato a rinnovare. Ha rinnovato. Ma non è andato in fondo, né poteva andarci, col passato che ha, con la formazione che ha avuto. Ci vuol altro alla sinistra per non essere confusa con ciò che è stata, figlia dell'Unione Sovietica. Ci vuole un salto di generazione, anzi, due. Se bastano. Ma finché non avremo una sinistra fatta di uomini di sinistra, invece che di finti intellettuali snobbetti, o di pipini in maschera, la destra non avrà rivali.

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