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La Russa? Una vittoria di Sergio Mattarella: il retroscena

Ignazio La Russa

Renato Farina
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Ignazio La Russa, neo-presidente del Senato, non aveva preparato l'orazione ciceroniana che ci si aspettava, ma il mazzo di rose bianche per Liliana Segre era lì pronto e fresco dal primo mattino. Sale allo scranno di lei, tra poco la chiamerà «Presidente morale», non che lui sia quello immorale, per carità: Geronimo ha pettinato le penne e sotterrato l'ascia di guerra, non il suo sorriso psichedelico da Sioux delle praterie. Ma tranquilli, non assalterà nessuna carovana, anzi garantirà a ciascun carro la sua libera corsa nel rispetto di tutti. Prima delle parole, il gesto. Quando porge l'omaggio gentile e galante all'antica ragazzina reduce da Auschwitz, alla Signora non è certo sfuggito la trasparente simbologia: come dimenticare che "la Rosa Bianca" fu il nome del gruppo di ragazzi inermi ghigliottinati da Hitler? Chiaro? Chi vuol capire, capisca. E gli altri si inventino pure uno stridore che non c'è tra la testimonianza viva di una perseguitata dal totalitarismo nazifascista e chi oggi, seconda carica dello Stato per volere del popolo, intende seguirne l'insegnamento pacificante.

IDEALI NON RINNEGATI - Torniamo alla cronaca. Nella tasca della giacca ignaziana manca il tradizionale mazzetto di fogli dattiloscritti con il programma ideale e pratico della sua "presidentura". Mette subito le mani avanti: «Non ci crederete ma non avevo minimamente preparato il discorso».

 

 

Invece ci crediamo. Che bisogno c'era di scriversi l'ouverture della sua presidenza al Senato, a freddo, in una stanzetta, la notte prima degli esami, calcolando le parole e le parolette, cercando la narrazione giusta? Gliel'aveva consigliato gente saggia: prudenza e ancora prudenza, cercheranno l'incidente. Eh sì, certa sinistra pregustava già di vederlo slogarsi la caviglia post fascista inciampando nelle buche scavate sulla sua strada dal discorso della Segre. Ma quali buche. E perché servire un piatto precotto, una gincana di parole furbesche tra i paletti di fascismo e antifascismo: come chiede "il Pontefice" parresia, franchezza. Ha scelto di essere se stesso, un se stesso che si lascia plasmare dalla grazia istituzionale, senza rinnegare gli ideali della giovinezza. Le cose da dire ce le aveva in testa da una vita. Infatti ce l'ha raccontata, questa vita. Ha accompagnato, parlan do a braccio, i 200 senatori, e in fin dei conti tutti gli italiani, a guardare con lui le immagini decisive appese alle pareti della sua esistenza. Si ferma un momento a descriverne una, con discreta commozione, e poi si incammina verso la prossima.

MAI PIÙ - Un po' sul modello della famosa composizione di Modest Mussorgsky, quella che fanno ascoltare alla prima ora dilezione di musica: racconta i quadri di una esposizione. La sua, ovvio.
Ma a pensarci quella galleria che La Russa ci accompagna a percorrere è la stessa di chi magari osservava quei volti dall'altro lato dell'ideologia, perciò con giudizi e sentimenti diversi. Certo, siamo diversi, la politica è anche scontro. Violenza fisica o verbale, mai più! La Russa sceglie la memoria condivisa, e quando condivisa non può esserne per legittime convinzioni inconciliabili, una memoria reciprocamente rispettata, questo è un dovere. Cita per questo le parole di Luciano Violante, quelle di Sandro Pertini, c'è un patrimonio che non è della destra o della sinistra, ma della comunità nazionale per cui siamo fratelli (e sorelle) a pieno titolo. Elogia l'intelligenza di Sergio Mattarella, due volte si riferisce al "ministro dell'armonia", Pinuccio Tatarella, scomparso troppo presto, dalla mente lucidissima e dal vestito sempre strapazzato come se fosse finito sotto un camion.

 

Ci sono i ritratti amatissimi dei martiri e degli eroi, situati nella giovinezza, poi quelli della maturità, congiunti da un tragitto talvolta entusiasta, più spesso duro, durissimo. Ed ecco il padre, orgogliosamente di destra, il fratello maggiore democristiano (Vincenzo), la precocissima militanza, diciamo dal primo vagito, in una precisa parte politica: quella dotata di fiamma. Indica, degrandolo a ispettore, ma conta l'intenzione, il commissario Luigi Calabresi; Sergio Ramelli, assassinato dalle sprangate vigliacche della squadraccia di Avanguardia operaia; indica anche con dolore e rispetto Fausto e Iaio, militanti leonkavallini, ammazzati come cani da killer ancora ignoti.

PROMESSE - Promette, «con tutta la forza», che egli «sarà il presidente di tutti». Comunica che ci aspetta una legislatura dove si cambierà la seconda parte della Costituzione, grazie a una legge che istituisca «una costituente o una bicamerale» . Notevole la finezza politica con cui ringrazia chi ha votato per lui e chi no, ringrazia anche «quelli che si sono astenuti e - se mi consentite- quelli che mi hanno votato pur non facendo parte della maggioranza di centro-destra». Olimpicamente, senza allusioni maligne, toglie significato politico di divisione odi inciucio recondito alla sua elezione. Non è poco. Traduzione: si può votare per stima e fiducia, anche chi non è della tua parrocchia, ma crede davvero in quelle cose preziose senza delle quali non esiste né umanità né democrazia. Grazie davvero di cuore. Nota antropologica. Un uomo consiste negli aggettivi che sceglie nei momenti in cui non legge fogli ma tira fuori l'anima. Infatti i sostantivi sono abbastanza scontati: libertà, pace, ideali, giustizia, ecologia, innovazione. Ecco due aggettivi larussiani: "totale", "duri", "durissimi". Infine, una forma verbale: "Lo giuro", che non sarà un attributo ma esibisce gli attributi. 

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