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Meloni, Alessandro Giuli: ecco la sua rete di protezione

Alessandro Giuli
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Il successo di Giorgia Meloni rappresenta il compimento di un percorso che origina da lontano ma che, nell'essenza, trova i suoi tornanti decisivi negli ultimi due anni. Dall'insediamento del governo di Mario Draghi (febbraio 2021) in poi, con Fratelli d'Italia in crescita di consensi e la Lega di Matteo Salvini in progressiva erosione di credibilità, entra in gioco una meccanica virtuosa che vedrà protagonisti assieme a Giorgia sia il premier in carica sia il presidente della Repubblica.

Il trapasso del Conte II determina uno scenario inedito nel quale Sergio Mattarella, in nome della salute pubblica nazionale, "impone" il proprio schema di governo personificato dalla più autorevole risorsa della Repubblica (l'ex governatore della Bce) e sorretto da tutte le forze parlamentari tranne quello che ormai viene percepito come un maturo partito conservatore di massa: Fratelli d'Italia.

 

In questo insieme, si raggruma intorno a Draghi una grande maggioranza dai contorni poco definibili nella quale ogni leadership (da Enrico Letta a Matteo Salvini passando per Giuseppe Conte e Silvio Berlusconi) tende a scolorire di fronte alla statura internazionale draghiana e al suo stile da gesuita euclideo.

Parallelamente, in una nuova logica bipolare inquadrata nello stato d'eccezione economico-pandemico e bellico, emerge per contrasto il profilo della monopolista di un'opposizione "patriottica" intonata al senso di lealtà istituzionale, che incalza con fermezza sui contenuti di taluni provvedimenti e polemizza con i ministri più deboli (Roberto Speranza in primis) senza mai andare a scalfire il rapporto con Palazzo Chigi. È in questo preciso momento che Draghi e Meloni, attraverso una naturale polarizzazione dei rispettivi ruoli scandita da un dialogo costante, configurano la legittimazione reciproca di una premiership tecnica altrimenti pericolosamente monocolore (liberalismo non democratico) e di una minoranza partitica maggioritaria nel Paese altrimenti infeconda (democratismo illiberale).
Sotto lo sguardo vigile del Quirinale, sta nascendo una dialettica in cui risaltano i due "beni rifugio" della politica italiana nel presente e nel futuro. Con in vista la data di scadenza naturale della legislatura prevista nel 2023.

 

LO SNODO
Il secondo snodo sopraggiunge nel gennaio del 2022, allorché la mancata successione quirinalizia culminata nella rielezione di Mattarella mette in luce la confusione del centrodestra di governo berlusconian-salviniano, la tenuta dello schema difensivo e di rimessa praticato dal Pd di Letta e soprattutto la coerenza lungimirante di Meloni. Nella circostanza, lei per prima identifica in Draghi il candidato naturale per il supremo Colle, in qualità di Lord protettore (copyright Libero, ben prima che Rino Formica lo ripescasse per definire la più recente stagione) e come elemento propiziatorio di un ritorno al primato della politica per vie elettorali.

L'esito della contesa - come noto - rafforzerà Mattarella, penalizzerà lo status neutrale di Draghi rispetto alle compagini che ne sostengono la premiership ma lascerà sul campo di battaglia le macerie di tutti i soggetti politici interessati tranne uno: Giorgia e i suoi Fratelli d'Italia. È questo il momento della svolta nella percezione pubblica, confermato dalle rilevazioni demoscopiche sulla popolarità personale (in sequenza: Mattarella, Draghi, Meloni) così come dall'ingresso dei partiti di maggioranza nel tunnel di una comune, irrevocabile e litigiosa fragilità.

La successiva crisi di governo estiva, innescata dalla spericolata manovra frazionista di Conte e seguita a ruota dal rocambolesco testacoda di Salvini e Berlusconi, non fa che accelerare la discesa sul piano inclinato dell'ineluttabile: lo scioglimento delle Camere e il trionfo elettorale della destra.

Di qui in poi, al netto di alcune trappole mediatiche o cadute di stile nella campagna elettorale, il triangolo Mattarella-Draghi-Meloni diventa la pietra angolare di una transizione ordinata verso un nuovo corso ancora da stabilizzare. L'intelligenza pratica di Giorgia, la lealtà istituzionale di Draghi e la neutralità attiva del Quirinale si armonizzano fra loro e rendono vane le insidie esterne determinate dal livore degli sconfitti d'ogni fronte e dal clima di guerra circostante: dalle intromissioni giudicanti delle cancellerie straniere e dell'establishment europeo fino alle (legittime, almeno in parte) pretese di rendita degli alleati di centrodestra, passando per l'incauto e semiclandestino proclama putiniano del Cavaliere: tutto viene sterilizzato in tempi record e con rigore geometrico.

Mattarella protegge la dignità nazionale dal moralismo suprematista straniero che vorrebbe porre in stato di minorità la nascente destra di governo («L'Italia sa badare a se stessa») e incoraggia Meloni nel procedere risoluta secondo il proprio schema "all-in" di matrice draghiana: o si fa come dice lei, tanto nella selezione dei ministri quanto nella riconferma delle linee strategiche di politica estera e di sicurezza, oppure tutti a casa.

CABINA DI REGIA
Nel frattempo Draghi rassicura l'estremo Occidente e la tecnoburocrazia Ue sulla continuità performativa dell'Italia, ottenendo in ultima istanza l'embrione di un preziosissimo accordo continentale sul prezzo dell'energia da portare in dote alla premier neo incaricata. Disinnescate le ultime turbolenze, il successo diventa realtà concreta e si manifesta nel solenne giuramento della prima donna premier nella storia repubblicana, incastonato in una scenografia dai tratti perfino festanti. E qui, dunque, titoli di coda e dissolvenza durano il minimo indispensabile per introdurre la stagione appena inaugurata. Il piano sequenza politico degli ultimi giorni, in definitiva, pare il prodotto di una sapiente sceneggiatura istituzionale scritta da uno statista di lungo corso e da un civil servant affilatissimo di alto rango globale, affiancati da consiglieri di non inferiore esperienza e valore; e da una leader che si vorrebbe raffigurare come "sola al comando" ma che in realtà è circondata da un nucleo di monaci-guerrieri della politica dei quali vedremo poco ma avvertiremo molto la presenza.

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