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Enrico Letta umiliato in Francia: "Non lo vogliamo", chi lo 'caccia'

Albert Doinel
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«In Italia, il Partito democratico ha forse trovato il suo Olaf Scholz? Perle elezioni politiche del 2023 la partita non sembra più persa in anticipo dinanzi a una destra che vola in testa nei sondaggi. Enrico Letta, l'ex primo ministro tornato in politica, è riuscito a rimettere sui binari il Pd e a rilanciare la speranza di una possibile vittoria dei progressisti». Così recitava la descrizione di un breve reportage del canale franco-tedesco Arte, intitolato «Enrico Letta ou le come-back de la gauche italienne». Era il dicembre del 2021 e il Partito democratico aveva appena conquistato i comuni di Roma, Milano, Torino, Bologna e Napoli alle elezioni amministrative. La Parigi progressista, quella che legge Le Monde e sorseggia Pouilly Fumé nei dehors di Boulevard Saint-Germain, era in sollucchero per il suo politico italiano preferito, quello che nel settembre del 2015 assunse le redini della Paris School of International Affairs di Sciences Po, la celebre scuola delle élite francesi, e che nel marzo 2016 venne insignito della Legion d'Onore in qualità di «personalità straniera che vive in Francia».
 

 

 

VECCHIE FIAMME SPENTE
Peccato però che il sogno della gauche parigina si sia infranto lo scorso 25 settembre, quando gli italiani lo hanno severamente sanzionato, dando alla sua formazione meno del venti per cento delle preferenze: una Caporetto per il Partito democratico. Proprio per dimenticare quella che i francesi avrebbero definito una "Bérézina elettorale", il politico pisano si starebbe guardando intorno alla ricerca di nuove possibilità o addirittura di vecchie fiamme: con un'attenzione particolare a Parigi, dove Letta è convinto di essere ancora considerato un grande leader della sinistra europea.


Chi invece non è più convinto, a quanto pare, sono i francesi stessi, secondo quanto rivelato mercoledì sera da Dagospia. Letta, infatti, vorrebbe tornare a essere il preside della Scuola di Affari internazionali di Sciences Po, «e avrebbe fatto presente ai vertici del prestigioso istituto di essere pronto a rientrare», secondo le informazioni di Dago. Problema: «A Parigi non hanno l'anello al naso». Tradotto: col cavolo che ce lo riprendiamo ora che è in caduta libera. Che immagine sarebbe per Sciences Po? Più nel dettaglio, come riportato dal sito retroscenista, «qualcuno deve aver mugugnato: la prima volta è arrivato qui da ex presidente del Consiglio. Ades so dovremmo accollarcelo da ex segretario di un partito uscito a pezzi dalle elezioni. Il risultato di queste valutazioni è un lungo traccheggiare: "aspettiamo", "vediamo", "ci pensiamo", insomma, lo stanno rimbalzando e il povero Enrichetto è tanto, tanto dispiaciuto dal non poter riprendere a fare il professorino...». Insomma, quel «non torno in Francia», promettendo «un'opposizione intransigente» contro Giorgia Meloni, forse era proprio legato a un rifiuto proveniente da Parigi e non a una decisione personale.
 

 

I RAGAZZI DELLA SCIENCES PO
Il suo ingresso nella scuola di rue Saint-Guillaume risale all'aprile del 2014, quando tenne un corso sull'Europa e i populismi. «I suoi corsi non erano per niente apprezzati dagli studenti, era considerato un professore mediocre», ha detto a Libero una fonte vicina all'universo Sciences Po. A Parigi, Letta era riuscito sistemare anche i suoi cocchini, come Michele Bellini, 30 anni, cremonese, capo staff del segretario nazionale del Pd durante l'ultima campagna elettorale. Bellini era l'assistente di Letta alla Paris School of International Affairs di Sciences Po, la sua ombra. Sentite come lo presentava Repubblica nel 2021: «Ora Michele è il frontman del team di ragazzi che Letta si è portato con sé dalla scuola di Parigi. "Un gruppetto che sarà il mio cervello", ha detto il neo segretario del Pd, ammettendo: "I miei allievi, ragazzi tra i 21 e i 24 anni, mi hanno cambiato la vita e fatto guardare a quella generazione con occhi diversi"». Ma "il gruppetto parigino" ha fatto flop. A Parigi, si mormora inoltre che sia stato Letta a suggerire il nome del suo successore alla guida della Scuola di Affari internazionali di Sciences Po, l'ex ministra degli Esteri spagnola, la socialista Arancha González Laya. Che abbia chiesto proprio a lei di aiutarlo a tornare nella Ville Lumière? Ah saperlo... come direbbe Dago. 

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