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Adolfo Urso, il piano per il Made in Italy: "Si tutela con più sovranità"

Pietro Senaldi
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«La prima volta che andai al governo, nel 2001, come viceministro della Attività Produttive, stava iniziando l'era della globalizzazione. A settembre ci fu l'attentato alle Torri Gemelle, a New York, il mondo venne attanagliato dalla paura del terrorismo islamico e si strinse intorno all'Occidente. La Cina si aprì, partecipò per la prima volta al vertice del Wto, l'organizzazione mondiale del commercio, a Doha, in cui proprio io rappresentavo il governo italiano; Russia e Usa dialogarono e si posero le basi per il Trattato di Pratica di Mare, l'anno successivo. Oggi torno al governo all'indomani della fine della globalizzazione, sancita dall'invasione dell'Ucraina da parte di Putin. Le nazioni si stanno chiudendo, basta pensare cosa è avvenuto a Pechino, al congresso del Partito Comunista cinese, la settimana scorsa: la conferma per la terza volta di Xi Jinping è coincisa con il cambio d'indirizzo della classe dirigente. Sono stati accantonati gli ultimi eredi di Deng Xiaoping, votati alla crescita economica come primo obiettivo, e sono stati invece premiati gli uomini della sicurezza, quelli che hanno impostato la dittatura sanitaria, approfittando del Covid per sperimentare fino a che punto si poteva spingere il controllo sociale. Sicurezza e sviluppo economico oggi viaggiano di pari passo».

 


E lei arriva dalla presidenza del Copasir, Comitato Parlamentare per la Sicurezza Pubblica...
«Un tempo il Copasir si occupava solo della sicurezza; oggi lavora anche su dossier finanziari ed economici, cioè si occupa anche della Sicurezza della Repubblica. Basti pensare che fino a pochi anni fa lo Stato poteva esercitare la propria golden power solo negli ambiti della difesa e della sicurezza mentre oggi la utilizza anche sulla filiera sanitaria, le telecomunicazioni, le assicurazioni, la tecnologia persino sull'alimentazione: l'economia produttiva è parte della sicurezza nazionale».

Si è preso una bella rogna?
«Abbiamo ereditato un debito pubblico pari a 2726 miliardi, mentre la crescita del Pil si è arrestata, con una previsione negativa per il quarto trimestre dell'anno. La crisi internazionale, con l'impennata dei costi dell'energia, che incidono sulla produzione e si riversano subito sui cittadini ha causato un'improvvisa Caporetto. Siamo sulla linea del Piave ma abbiamo le energie per reagire».

Colpa del governo Draghi?
«L'ex premier, anche su richiesta di Fdi, da tempo chiedeva all'Europa il tetto al prezzo del gas e il disaccoppiamento del costo dell'energia da quello del gas, ma nell'Unione ci sono troppi interessi divergenti. Soprattutto Germania e Olanda remavano contro. Quando ero al Commercio Estero, vent' anni fa, alla Farnesina circolava un detto: se sei nel dubbio sulle posizioni commerciali e produttive fai sempre l'opposto di quello che indicano gli olandesi. Noi siamo una nazione di natura produttiva, loro vivono di commercio, è fatale che abbiamo interessi sistematicamente divergenti».

Ora qualcosa pare muoversi?
«Infatti il prezzo del gas è crollato solo all'annuncio dell'introduzione di un tetto. L'Europa è il maggior consumatore al mondo di gas, in parte può determinarne il costo».


Portato al governo per la prima volta da Fini, Adolfo Urso è da quasi dieci anni uno degli uomini più vicini a Giorgia Meloni, che segue anche sui dossier internazionali.
D'altronde l'esperienza sui tavoli esteri non gli manca; fu il solo governante italiano ad accompagnare Berlusconi nel 2006, quando l'allora premier parlò al Congresso degli Stati Uniti. Oggi guida il ministero delle Imprese e del Made in Italy, «un salto culturale», spiega: «prima si parlava di sviluppo economico, attività produttiva, si indicava il settore, oggi guardiamo all'azione e all'uomo; made in Italy non è una modifica solo lessicale, è sostanziale, significa che il ministero dev' essere la casa delle imprese e lo Stato, da ostacolo, deve diventare amico. Una delle prime mosse del governo sarà creare il "difensore civico delle imprese" nel mio ministero con la possibilità di avocar ogni adempimento che le amministrazioni di pertinenza non hanno svolto in tempo congruo rispetto alle richieste delle aziende». In un'epoca di deglobalizzazione, dove i fattori geopolitici sono decisivi anche nell'orientare gli investimenti, l'esperienza internazionale è un asset indispensabile ed è per questo che alla fine il ministero del Made in Italy è stato assegnato proprio a Urso, per il quale nel totogoverno si era parlato anche di altri incarichi. «L'obiettivo del nostro mandato» illustra il ministro, «è aumentare l'autonomia e la sovranità di Europa e Italia sui settori fondamentali per il nostro Paese».

Cosa intende per sovranità nei settori fondamentali?
«Dobbiamo concentrarci sugli interventi necessari per salvaguardare la nostra filiera produttiva. Talvolta basta che manchi un chip perché la produzione si fermi. Non può più essere così, vanno realizzati in Europa, meglio in Italia. Non possiamo passare dalla dipendenza energetica dai russi a quella tecnologica dai cinesi».


Ma su certe materie prime non potremo mai essere autonomi...
«Certo. Il silicio, le terre rare, i materiali preziosi si trovano in altri Continenti, anche nella vicina Africa, che è il terreno della vera sfida globale tra Occidente e Oriente. Perciò dobbiamo sviluppare una strategia italiana ed europea per l'Africa, strappandola dalla sottomissione a Russia e Cina. L'Africa è il continente del futuro per materie prime, energia rinnovabile ed economia digitale e noi siamo il ponte naturale dell'Africa verso l'Europa».

Cosa significa per lei made in Italy, il nome con cui è stato ribattezzato il suo ministero?
«È l'imprimatur della nostra azione di governo, come esposta da Giorgia Meloni nel discorso d'insediamento al Parlamento, nel quale ogni passaggio sottolineava l'idea di nazione e ogni linea programmatica era inquadrata in una strategia nazionale. In una situazione globale ed economica così difficile, si può procedere solo se hai una rotta chiara per portare in salvo la nave Italia. Ma made in Italy è anche una garanzia d'eccellenza, qualcosa di molto più grande rispetto al fatto che un prodotto sia stato realizzato in Italia; tant' è che nella percezione mondiale non è percepito come un'etichettatura ma come marchio di qualità superiore. Cambiando il nome al ministero volevamo anche rimarcare questo».

L'Europa che ruolo avrà nel futuro, continuerà a farci concorrenza sleale?
«I fondatori dell'Unione volevano costruire l'Europa su due pilastri: una difesa comune e la sovranità energetica, tant' è che all'inizio si delineò la Comunità di Difesa Europea e nel contempo la Comunità dell'acciaio e del carbone. Hanno fallito su entrambi i fronti. I francesi bocciarono il trattato per un esercito comune e così siamo dipendenti dalla Nato per la difesa. Sull'energia poi, ciascuno prese la sua strada, con il risultato che ci siamo resi dipendenti dai russi, così ci si accontentò di ricominciare con un trattato commerciale. Oggi ci ritroviamo al punto di partenza".

La crisi energetica uccide le nostre imprese. Come si riparte?
«Nel breve con il tetto al prezzo del gas, il disaccoppiamento di gas ed elettricità e qualche sostegno materiale alle imprese strategiche. In prospettiva, con una maggiore produzione di energia qui in Italia, eolica e solare ma anche biomasse e geotermico. Da questa crisi l'Italia può uscire più forte perché il gas ora arriverà da Sud e da Est e noi abbiamo i gasdotti. Forniremo energia elettrica, gas e idrogeno verde a tutta Europa attraverso l'Algeria, la Libia, l'Azerbaijan, ai quali siamo collegati. L'autonomia energetica del Continente passerà dalla nostra nazione».

Perché l'Italia ha ridotto la produzione di gas?
«Un errore ideologico della sinistra: dieci anni fa producevamo 13 miliardi di metri cubi, oggi ne facciamo 3 e quel che ci manca lo prendiamo dai russi. Entro qualche mese va raddoppiata la produzione interna. Poi faremo nuove trivellazioni nell'Adriatico, da cui possiamo estrarre sino a 70 miliardi di metri cubi».

E sulla difesa?
«Abbiamo imprese di prim' ordine, da Leonardo a Fincantieri, e sullo spazio siamo la sesta potenza potenza globale. Dobbiamo però recuperare il grave ritardo sul fronte digitale, dove Usa e Cina si contendono la leadership mondiale».

Il suo dicastero com' è messo con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza?
«Per quest' anno manca solo la riforma del codice di proprietà industriale che realizzeremo in tempo utile. Più in generale, è evidente che il PNRR vada modificato in corso come previsto dal regolamento. È stato realizzato per uscire dalla pandemia puntando a un rilancio attraverso la transizione ecologica e digitale, ma l'invasione russa dell'Ucraina ha riposto al centro la produzione energetica. E poi i progetti sono stati votati quando l'inflazione era allo 0,1%. Ora siamo oltre il 10% e le materie prime costano di più: se non si cambia, le gare andranno deserte».

Cambierete anche il reddito di cittadinanza?
«Va dato solo a chi non è in condizioni di lavorare ma occorre anche rendere più conveniente lavorare piuttosto che percepire il sussidio, e questo si può fare tagliando il cuneo fiscale e destinando ai lavoratori i due terzi dei risparmi per aumentare gli stipendi. Poi flat tax incrementale: solo il 15% di tasse su quanto dichiarato in più dei tre anni precedenti e decontribuzione totale alle imprese per i nuovi assunti che aumentano il numero dei dipendenti».

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