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Mose? Intitolato a Gianni De Michelis: lo salvò dalla sinistra

Filippo Facci
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Siete voi che chiamate «provocazione» ogni proposta ovvia che non avete il coraggio di sposare per primi, timorosi che qualche recrudescenza forcaiola faccia storcere il naso a quei lettori sempre più avanti di voi: sembrate il vecchio Pci quando chiamava «provocazione» l'idea di togliere falce e martello dal simbolo, con la differenza che, in questo caso, falce e martello e forca si abbatterono (poi) su Gianni De Michelis, l'uomo che per primo si mosse affinché si costruisse un sistema di dighe mobili per fermare le maree che da secoli sommergevano una delle città più famose del mondo. Il quale De Michelis non si limitò a intuire, auspicare, dare pacche sulle spalle prima di lavarsene le mani in Laguna, come fecero altri: fu lui, esattamente trentotto anni fa (legge del 29 novembre 1984 n. 798) ad autorizzare la creazione del Consorzio che ha poi progettato il Mose, e fu lui, da ministro veneziano delle Partecipazioni statali, a volere espressamente questa legge e strenuamente a difenderla.

 


Mentre siete voi - dopo la marea eccezionale di martedì, a cui ne sono seguite altre tre - che ora dovreste spiegare perché anzitutto ora non dovremmo ripensare a lui, morto nel 2019 a 79 anni: il quale fu difficile profeta e si batté per convincere gli scettici e i recalcitranti riuniti in uno dei tanti «fronti del no» che hanno impaludato questo Paese, gente che in buona parte è lì a vendemmiare ciò che fu De Michelis a seminare. Niente di più naturale che una come il sottosegretario Stefania Craxi - davanti alla quale tanti abbassano lo sguardo, Sì oggi - proponga che il Mose sia intitolato proprio a De Michelis, colpevole di aver anticipato i tempi anche del più banale - oggi - edonismo mediatico: per quanto si limitò, l'ex ministro, a non rasarsi e i capelli e a non nascondere il piacere di andare liberamente in discoteca, scrivendoci pure un libro. «Nessuno può negare il suo indiscutibile contributo alla crescita di Venezia, al progresso dell'Italia e dell'Europa», ha detto la Craxi rivolgendosi direttamente al sindaco Luigi Brugnaro, «ecco perché propongo di intitolare il Mose a un uomo dall'intelligenza davvero visionaria... Tutti hanno potuto apprezzare l'utilità del Mose, un'opera osteggiata per motivi ideologici fin dal momento della sua ideazione».

 

 


NO ALLA TV A COLORI
Siete voi - parliamo alla sinistra progressista - quelli che ingrossavano il fronte del No al Mose, e di passaggio il no a ogni innovazione e modernizzazione possibile: dalla Metropolitana milanese ai grattacieli all'Alta velocità ferroviaria, dalla variante di valico Firenze-Bologna all'aeroporto della Malpensa, dal mancato ponte sullo Stretto all'abrogata energia nucleare: eravate contrari persino alla tv a colori, rileggasi l'Unità del 14 settembre 1977. Siete voi - parliamo ai pendagli da forca del Fatto quotidiano: fanno sempre comodo - che ieri avete scritto che la proposta della Craxi «potrebbe sembrare il frutto di un'allucinazione», e che «sembra l'avvio di un'operazione di rivincita per chiudere i conti più imbarazzanti della Prima Repubblica, affogata nelle tangenti». Ai più era sembrato che fosse una rivincita sulla marea, e che non c'entrassero niente le tangenti per costruire il Mose nelle quali De Michelis non fu mai coinvolto: parliamo di un'inchiesta - tra le meglio condotte e più eclatanti degli ultimi vent' anni - che fu guidata da un certo Carlo Nordio, un anonimo magistrato - bisognerebbe rivalutarlo - che fece un uso moderato delle intercettazioni e della custodia cautelare.

 

«ORSONI SINDACO»
Un'inchiesta che evidenziò che le tangenti del Mose erano per le campagne elettorali dei partiti (per i candidati alle elezioni) e riguardarono versamenti presi «per sé» o che finivano nelle tasche di soggetti estranei alla politica ma anche e soprattutto nelle casse dei partiti, e segnatamente nel comitato «Orsoni sindaco» che era il candidato del Partito democratico (lo stesso del vecchio fronte del No) o nelle disponibilità del forzista Giancarlo Galan, oltreché del candidato Pd al Consiglio Regionale del Veneto. Che c'entra De Michelis? Niente. Lui, da ministro, immaginò una struttura normativa in grado di creare un solo concessionario per costruire il Mose: poi la struttura fu prescelta e dagli anni Novanta spuntarono anche finanziamenti illeciti (perché c'erano su tutto, ai tempi) ma il ministro non fu coinvolto, fine. Fu coinvolto invece e solamente in una vicenda di tangenti autostradali (ha patteggiato un anno e 6 mesi) ed è risultato coinvolto nel pasticcio Enimont (altri 6 mesi patteggiati) e poi basta: è questo lo scandaloso bilancio di un grande politico e statista della Prima Repubblica (avercene, oggi) ancor oggi osteggiato dalla deriva tardo-manettara di chi sostiene che lo statista sarebbe Giuseppe Conte. Venezia ringrazia. E noi ridiamo dalla riva del fiume, pardon della Laguna. 

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