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Roberto Speranza, il flop-Immuni: ecco quanto ci è costato

Claudia Osmetti
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Siamo onesti: l'avevamo già messa tutti nel dimenticatoio, e pure da mesi. Ce n'eravamo scordati. Un po' come delle spalline anni Ottanta e dei floppy disk dei primi Duemila. Al massimo, tornava utile nei momenti "amarcord". Ti-ricordi-quando-non-c'erano-le-chiavette? Ah-i-tempi-dell'app-Immuni. Superata, sorpassata, in realtà mai nemmeno utilizzata, di certo lontana dall'essere un fenomeno di massa (a differenza delle spalline di cui sopra). Però persino costosa: oh, se ci ha fatto spendere. Il governo Meloni scarica l'app Immuni, quella per il tracciamento dei positivi da Covid. Ma non sul telefonino, la "scarica" proprio, nel senso che ora non è più necessaria e tanti saluti: ché un flop più flop del suo, negli ultimi due anni e mezzo, quasi tre, di pandemia, non s' è visto e non ha senso rifocillare il sistema. Son solo soldi buttati.

 

 


Dal 31 dicembre prossimo, fa sapere il ministero della Sanità di Orazio Schillaci, basta: app Immuni addio. Viene dimessa la piattaforma unica nazionale perla gestione dell'allerta Covid, nonché la relativa applicazione e si interrompe «ogni trattamento di dati personali effettuato». È stato bello, quando è stato, cioè quasi mai, ma adesso stop. Ché serve a niente. Ancora tre giorni e sparirà dagli store del telefonino (oltre che dalla nostra reminiscenza): via da tutto. Dagli Apple, da Google e dai dispositivi Huawei. E se per caso siete tra i pochi che hanno provato il download, magari per il brivido dell'ignoto, in quel maledetto 2020 in cui ci sembrava di non fare niente e anche cliccare sul pulsantino "acquisisci" era un modo per resistere, sappiate che tempo settimana prossima non funzionerà più: zero notifiche, zero contact tracing (ossia tracciamento dei contatti) digitale, zero di zero.

 

 


Tuttalpiù potrà fare da raccoglitore, da archivio per i documenti già rilasciati: ma allora il discorso è lo stesso perché anche il green pass, oramai, non viene più richiesto da nessuna parte per cui, stringi stringi, finirà per occupare memoria sullo smartphone e poco altro. (Breve parentesi: non ne sentiremo la mancanza. E non lo faremo perché, semplicemente, è stata un'occasione persa. Massimo Clementi, virologo: «Non sapevo neanche che fosse ancora attiva, probabilmente non lo sapeva nessuno». Maria Rita Gismondo, diagnostica delle bioemergenze: «E chi l'hai mai vista?». Chiusa parentesi). Per una volta sono tutti d'accordo, esperti e non: semmai, bisognava spegnerla prima. Ma in Italia va così, quando c'è qualcosa che funziona viene travolto dalle polemiche che manco uno tsunami; quando invece abbiamo un servizio che nicchia, tentenna e non decolla, resta relegato nel limbo e vai a capire come va a finire. Se va a finire. Schillaci e Meloni, però, adesso ci mettono il punto. Quello che non prevede un a capo e va bene così.

Specie per il portafoglio: ché qui, tra investimenti e campagne di comunicazione (fallimentari) e stanziamenti alla bisogna abbiamo sborsato più di 700mila euro nel capitolo Immuni. Per un pugno di mosche, tra l'altro: 34mila euro all'inizio, ossia nel 2020, perché il servizio c'era e doveva essere conosciuto. Ancora ancora è giustificabile. Altri 230mila euro a marzo del 2021 per l'adesione alla convenzione Consip dei concat center. E si inizia ad avere qualche dubbio. Poi 218mila euro, per lo stesso motivo, nell'autunno dell'anno scorso; ancora 220mila euro messi dal Dipartimento per la trasformazione digitale a novembre.

Mica è stata gratis. È stata, invece, un fiasco conclamato. Intendiamoci, anche le app gemelle nate e sbucate in mezza Europa nel periodo del coronavirus hanno raggiunto numeri impietosi. Ma nessuna ha fatto (male) come Immuni. Nel re sto del continente si stima che siano riuscite a tracciare, mediamente, il 5% dei contagi registrati successivamente dai vari sistemi nazionali: da noi solo l'1%. Scaricata da circa venti milioni di italiani (i dati più aggiornati sono di gennaio 2022: ma d'altronde cosa c'è da aggiornare?), utilizzata da appena 67mila cittadini con 176mila notifiche inviate: 176mila notifiche che ci sono costate, a occhio e croce, 3mila euro l'una. Un affarone. Che, tra l'altro, l'ex ministro della Sanità Roberto Speranza (Articolo1) ha difeso a spada tratta, a più riprese, senza il minimo ripensamento e giorno dopo giorno. Appelli inascoltati («Scarichiamola tutti»), promozioni continue («Uno strumento indispensabile»), a cui si è aggiunto, spesso e volentieri, anche l'ex premier Giuseppe Conte (M5s). Neanche dipendesse tutto (o quasi) dall'app Immuni. Ecco, no. Non è dipeso nulla. E adesso termina una storia che, per la stragrande maggioranza di noi, in verità, non era mai nemmeno cominciata. 

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