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Presidenzialismo, perché farà crescere l'Italia: basta con i governi deboli

Francesco Carella
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L'instabilità del sistema politico italiano è in gran parte il risultato di due pregiudizi, l'uno nei confronti di un partito conservatore, l'altro rispetto a una forma di governo di tipo presidenziale. Nel primo caso, l'anomalia affonda le radici nel modo in cui è nata l'Unità d'Italia, mentre l'idiosincrasia per un esecutivo forte, soprattutto a regime presidenziale, prende corpo all'indomani della Seconda guerra mondiale quando - con l'eco del Ventennio ancora udibile - si trattò di dare un assetto istituzionale alla neonata Repubblica. Le due cose, a ben guardare, si possono considerare due facce della medesima medaglia.

Il risultato delle elezioni del settembre scorso con la successiva costituzione del governo diretto da Giorgia Meloni non può non porre all'attenzione della classe politica del centrodestra la storica questione della formazione in Italia di un partito conservatore. Quel risultato è stato ottenuto dopo avere messo al centro della proposta politica, per la prima volta senza timori, ciò che nella storia italiana ha avuto per lungo tempo un ruolo marginale ovvero l'identità nazionale con la valorizzazione dei valori culturali, civili e religiosi.

 

La comprensione di tale anomalia, come dicevamo, è da ricondurre alle modalità attraverso cui si è realizzato il processo Unitario, là dove l'élite liberale per ragioni legate all'urgenza di costruire l'Italia «ha dovuto disconoscere i diritti acquisiti, gli interessi legittimi e la stessa coscienza religiosa preesistenti al 1861». Giusto il contrario di ciò che costituisce la norma di un partito conservatore. Un tale vizio d'origine ha influito pesantemente sull'evoluzione dell'area moderata nel nostro Paese. Talché alla chiarezza di una proposta conservatrice è stata preferita la via della mediazione trasformistica al punto da farne la cifra della politica nazionale fino ai nostri giorni. La qual cosa è potuta accadere anche a causa della presenza di una sinistra anti-sistema prigioniera di sterili sogni rivoluzionari fin dalla sua nascita. Ora che il tema della formazione di un partito conservatore è stato introdotto nella discussione pubblica vale la pena di analizzare anche l'altra diversità che ha impedito una compiuta realizzazione della democrazia italiana. Partiamo da una constatazione: il nostro Paese in controtendenza rispetto al resto delle democrazie occidentali - non ha mai fatto «esperienza di governi democratici forti». Tutto ciò è accaduto per ragioni storiche ben note in forza delle quali i Costituenti scelsero di puntare sulla centralità del Parlamento con un esecutivo debole, collocando il presidenzialismo fra i grandi tabù della Repubblica. Oggi sappiamo, grazie a nuove ricerche d'archivio, che già prima della conclusione del Conflitto mondiale gli Alleati si posero il problema del futuro assetto istituzionale dell'Italia.

 

Gran Bretagna e Stati Uniti temevano che la formazione di un governo solido potesse creare le condizioni per un ritorno al fascismo. Le preoccupazioni degli angloamericani incontrarono il favore dei partiti rappresentati in Assemblea Costituente. Infatti, in quella sede, famiglie politiche ideologicamente distanti e segnate da una reciproca diffidenza videro in una scelta siffatta una sicura «garanzia perché nessun partito potesse governare in modo efficace ed autonomo». Queste in sintesi le due anomalie- ormai storicamente superate - che hanno reso cronicamente instabile il sistema italiano. Ora si tratta di rimuoverle attraverso una coraggiosa opera riformatrice. L'elezione diretta del capo dello Stato con le indispensabili correzioni costituzionali in termini di pesi e contrappesi - imporrebbe una semplificazione del quadro politico stimolando, da un alto, la costituzione di un partito conservatore e, dall'altro, una revisione strategica nel campo della sinistra dove, come già sosteneva il socialista Claudio Treves nei primi anni del Novecento, «la mancata nascita di un vero e solido partito conservatore ha impedito che nello schieramento di sinistra prevalesse il riformismo sulla demagogia massimalista».

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