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I sondaggi sulla Meloni, la verità seppellisce la sinistra

Francesco Specchia
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T' avesse accise. Non siamo all'inverno dello scontento per Palazzo Chigi. Epperò, siccome - come diceva Noam Chomsky - la "fabbrica del consenso" politico passa attraverso la comunicazione, be', preoccupa un po' il fatto che da tutto l'affaire del mancato taglio delle accise della benzina possa solo far filtrare l'idea d'un governo che crocefigge l'Italia alla pompa di benzina. Seppur un po' in ritardo sugli umori della cronaca, la premier l'ha ben spiegato a reti unificate: trattasi di questione di giustizia sociale. Osi manteneva la sospensione delle accise, o si aiutavano i più deboli.
Epperò, il refrain di questi giorni (dall'opposizione) è «Meloni si è incartata sulle retromarce, Meloni sta perdendo il consenso». Ma Meloni sta davvero perdendo consenso? E gli alleati, e gli avversari politici sono messi meglio?
«Dal punto di vista sociologico non dobbiamo confondere la delusione col consenso. Qualche atto politico può portare a una momentanea disaffezione, ma il consenso è elemento sedimentato che si consolida nel tempo. Non si può cambiare la disposizione d'animo all'improvviso come se si cambiasse canale sul telecomando»: Antonio Noto della NotoSondaggi è lapidario compulsa le risposte di migliaia di elettori-campione nel centrodestra. «Per esempio, se lei chiede agli iscritti del Pd il livello di soddisfazione rispetto alla politica del loro partito, sarà soltanto del 10%; ma il Pd non è al 10% (è al 14%, non c'è da stappare lo champagne comunque, ndr). L'insoddisfazione non è sufficiente da sola al calo, non è una reazione istantanea, ma cresce nel tempo...». Cioè: il consenso resta un sentiment a lento rilascio. Ma sondaggi e avversari indicano nella gestione del prezzo della benzina la «prima vera scivolata del governo». Il che è vero solo in parte. «La Meloni ha vinto col 26%, a Natale era al 30%. Oggi è al 27-28%. Ma il dato deve essere analizzato nella misura in cui l'insoddisfazione si possa tramutare in perdita di consenso nelle prossime settimane» continua Noto. E aggiunge: «Si rimedia affrontando direttamente l'elettore. La Meloni l'ha fatto, ma è stata qui poco emotiva: gli elettori sanno che la sua spiegazione al ripristino delle accise della benzina è logica. Ma non gli basta. Perché, storicamente, due sono le cose che preoccupano i cittadini: l'aumento della benzina (anche soltanto di 18 centesimi) e l'aumento del pane, che vanno a riflettersi sulla perdita di potere d'acquisto e diventano fattore d'inquietudine».

 

 

 


GRADIMENTO IN CALO

Ciononostante, dopo l'incontro con i sindacati dei gestori di pompe di benzina servito a scongiurare lo sciopero, l'indice di gradimento della premier ha smesso di calare. La Meloni non è Trump, precipitato dall'Olimpo agli Inferi. Gli italiani che hanno scelto la maggioranza di governo, in realtà, oggi, sono molto più comprensivi di quanto li descrivano i giornalisti. La spiega bene Fabrizio Masia, amministratore delegato & Partner presso EMG Different, demoscopico di pregio: «Il calo dei consensi con la sospensione del taglio delle accise c'è stato, inutile negarlo. Ma era naturale: la congiuntura economica, con la crisi, impone una coperta corta. Con un terzo dei fondi della legge di bilancio occupati dal carobollette, era difficile tagliare le accise che comunque sono lì e non sono mai state tagliate in 60 anni. E però i trasporti riguardano 30 milioni di italiani, e l'aumento degli idrocarburi va ad incidere sul 15% del portafoglio delle famiglie» E subito Masia sparai dati: «Le conseguenze della misura si sono ripercosse su Fratelli d'Italia e, a cascata, sul centrodestra. Forza Italia si inchioda al 7%, la Lega cala al 9%. E la Meloni è scesa al 28%, che comunque è sempre tanto, un'infinità oltre lo zoccolo duro storico dei suoi elettori».

 

 

 

NON SOLO SOVRANISTI

A proposito di zoccolo duro. Trattasi di uno zoccolo sovranista, da sempre riferimento di segmenti sociali precisi (tassisti, balneari, commercianti, ceto medio-basso, e gli stessi benzinai) che era del 4%. Calcoliamo pure un travaso dello stesso tipo di elettorato dalla Lega, nella misura del 7-8%. Quel che rimane, un 19-20%- più della metà dell'attuale platea di voto meloniano - è costituito da un pubblico di sostenitori che attinge nel bacino dei liberali e liberisti, ex Dc e ex socialisti, piccoli, medi e grandi borghesi che vivono il desiderio di una stabilità economica sotto l'ala d'Europa, finanche nel solco di Mario Draghi. Ed è questo l'elettorato che oggi stabilizza la Meloni: quello che ritiene le accise un incidente di percorso che non incide sul disegno strategico generale. Almeno, per ora. Attenzione, però. Sostiene Alberto Castelvecchi, linguista, editore, docente ed esperto di comunicazione: «Noi usciamo dagli anni del "turbo selfie" dei politici che legano il consenso ai like effimeri. La Meloni, invece, ha sparigliato il gioco con un pensiero davvero politico. Il consenso deriva dal latino cum-sentire, comune sentire, ed è una cosa diversa dalla pura adesione o da una delega in bianco, così come l'unanimità è diversa dall'unanimismo». Ossia, può essere che la prolungata luna di miele della premier con gli italiani, possa andare scemando. «Anche i sommovimenti interni al centrodestra per la benzina si verificano in chiave chiaramente preelettorale: ognuno fa la sua campagna per le Regionali. Ma la reazione del premier è tanto più importante. Con un atteggiamento massimalista duri qualche mese, lo stesso Draghi che non era legato a nessun partito, alla fine è stato fatto fuori».

 

 

 


EUROPEE FONDAMENTALI

Sicché che atteggiamento dovrebbe tenere, oggi, la Meloni con alleati e avversari, senza imporsi troppo né perdere troppo la faccia? Sempre Castelvecchi: «Meloni mi ricorda Sheryl Sandberg, la coo di Facebook che diceva di essere "l'adulto nella stanza": ha un atteggiamento molto massimalista, ma l'idea vincente è che, o attraverso Fazzolari o Crosetto - le sue figure di mediazione, i suoi pontieri - lei possa fare in modo di trasformare i numeri che ha in un consenso vero e proprio, interno ed esterno alla coalizione». Un esercizio, se vogliamo, molto democristiano. Roba che, per decenni, ha consentito alla Balena bianca di cambiare gli uomini ma mai gli assetti di governo. «Sì, sto dicendo una cosa molto cattolica, ma i democristiani in politica erano maestri nel coltivare il consenso: chiedevano sempre verifiche, ne uscivano sempre vincenti sottotraccia. E, guardi, chi oggi sta meglio sfruttando il consenso da opposizione non è il Pd, ma Conte - uno che ha idee agli antipodi delle mie - che ha messo insieme una sorta di trasversale partito popolar/populista del Centro-Sud». La domanda vera, però, ora è un'altra. Come andrà ad influire tutto questo sulle elezioni? Noto è chiaro: «Non influirà per il centrodestra. Mentre la confusione attuale nell'opposizione, potrebbe influire sulle Regionali non con un travaso di voti ad altri partiti; ma con un astensionismo che assommerebbe alla già scarsa motivazione di voto nelle amministrative dove difficilmente l'affluenza è oltre il 60%». Masia ha un'altra teoria: «Il passaggio fondamentale per il governo non saranno né Regionali né Amministrative, ma le Europee del 2024: saranno le elezioni di midterm della Meloni che dovrà dimostrare di essersi mantenuta sulla cresta dell'onda. Ovviamente il banco di prova sarà per il Terzo Polo per cui ogni punto in più è grasso che cola; e soprattutto, per il Pd in discesa. Lo stesso Pd, però, sta risalendo ai margini delle Primarie perché la percezione resta quella di un esercizio di democrazia». In soldoni, perla maggioranza, l'arrivo della tempesta pare lontano, ma lo sguardo dev' essere ben piantato all'orizzonte... 

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