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Elly Schlein, Cottarelli: "Capo grazie al M5s. E nel Pd non ha la maggioranza"

 Carlo Cottarelli

Pietro Senaldi
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«E ora che faccio? Non capisco ma mi adeguo? CottarElly???».

Professore, anzi senatore....
«Se avessi previsto tutto questo...All’inizio mi proposero di fare il presidente della Regione Lombardia. Poi non se ne fece nulla...».

E come si trova un economista in politica, dal Fondo Monetario Internazionale allo sprofondo parlamentare italiano?
«Ci sono state tante tappe intermedie... Forse gli economisti sono troppo accademici, ma di certo i politici sono talvolta troppo istintuali, subiscono la pressione dei media.
Pensi alla benzina, una fiammata di dieci giorni già rientrata: che senso ha avuto obbligare i distributori a esporre il prezzo medio? Tamponava solo l’esigenza di dimostrare di far qualcosa, di rispondere alle polemiche esplose sui giornali. Quando avrò lasciato il Parlamento su questa esperienza scriverò un libro. Lo intitolerò “Per partito preso”. Sottotitolo: l’obiettività impossibile”».

Certo che nel Pd le hanno fatto un bello scherzo: uno entra con Letta segretario e si ritrova la Schlein. Che fa, si adegua?
«Ho messaggiato il nuovo segretario per complimentarmi e lei mi ha risposto che spera di poter contare sui miei consigli. A disposizione...».
La sua situazione mi ricorda quella di chi nel 1996 votò Prodi premier e nel giro di poco si ritrovò D’Alema a Palazzo Chigi.

Scherzi da prete, o da comunisti?
«Pare che stavolta lo scherzo non sia nato all’interno del Pd».

Che cosa intende?
«Non è stato lei a titolare che il Pd era riuscito a perdere anche le sue primarie? I sondaggi suggeriscono che il nuovo segretario sia stato scelto in parte decisiva anche con il voto di elettori grillini”. Senza l’intervento dei non iscritti nelle primarie il nuovo segretario del Pd oggi sarebbe Stefano Bonaccini, che era stato indicato dai tesserati del partito. Io non sono iscritto ai dem ma resto un po’ perplesso».

L’elezione della Schlein ha spaccato in due il partito: una metà guarda più a sinistra e l’altra guarda più al centro?
«Veramente tra gli iscritti più della metà ha votato Bonaccini, forse pensando più al centro che a M5S».

 

 

 

La Schlein è stata sostenuta anche da qualche capobastone proveniente dalla Margherita...
«Non voglio soffermarmi sui casi specifici. Penso che la Schlein abbia vinto perché in grado di interpretare la voglia di radicale cambiamento di una parte consistente del popolo della sinistra. Mi va bene, basta che si sappia che il cambiamento non è una cosa di per sé sempre positiva, bisogna vedere come si cambia».

Rischiamo di tornare a un Pd anti-atlantista malgrado il passaporto a stelle e strisce del suo segretario?
«Elly Schlein mi sembra una donna molto intelligente, quindi dubito che si metterà a fare cose sovversive. Il suo sarà un partito movimentista ma non credo rivoluzionario. Di certo avremo il Pd più a sinistra degli ultimi anni, perfino più di quello di Zingaretti. E forse è anche giusto che un Paese abbia una forza di impronta marcatamente socialista».

Fatto sta che nei dem molti hanno la piva mentre tra i grillini festeggiano, Conte ha già bussato alla porta del nuovo segretario e Renzi ha giudicato «una notizia fantastica» l’elezione di Elly...
«I grillini non capisco cosa abbiano da festeggiare, visto che hanno già perso due punti a vantaggio del Pd. Quanto a Renzi, il Terzo Polo mi pare destinato a integrarsi e andare unito alle prossime elezioni, nel 2024, per l’Europarlamento, portando anche Più Europa, che ha sponsorizzato insieme ai dem il mio ingresso in Senato».

Carlo Cottarelli, economista di grande impatto mediatico, di scuola europeista e quindi attento ai conti ma senza averne il culto, ha capito sulla propria pelle che la politica può tradire più dei numeri. Deve l’ingresso nei palazzi del potere romano, e non so quanto sia un favore, a Enrico Letta, che lo scelse quando era premier come commissario alla spending review, l’uomo che doveva evitare un overdose di sprechi che sfasciasse le casse pubbliche. Per questo Renzi, che prese Palazzo Chigi con un blitz in una giornata partita serena e terminata tempestosa e già pensava di vincere le Europee regalando 80 euro al mese a dieci milioni di persone, lo rimosse quasi subito. Oggi di Letta non si sa cosa ne sarà, il professore attende di capire bene a cosa è chiamato ad adeguarsi, e la sua Più Europa, «un partito che mi piace molto» dichiara l’interessato, tra un anno potrebbe presentarsi insieme a quello dell’uomo che lo ha spedito a casa. In politica è normale, tutto sta ad adeguarsi, termine ricorrente.

«Il programma della Schlein», riflette Cottarelli, «è basato sulla redistribuzione delle ricchezze e sulla lotta alle disuguaglianze. La prima mi va bene, ma la seconda mi preoccupa. Io preferirei che si facesse la lotta alle ingiustizie, perché se insegui l’uguaglianza senza condizionamenti finisci per appiattire tutto». Di certo, ancora più delle contraddizioni della sinistra, al senatore lascia perplesso l’elettorato: «Per fare un esempio musicale, mi ricorda quella canzone di Jannacci che faceva “e vedere di nascosto l’effetto che fa”: ecco, se penso a come gli italiani hanno votato le scorse volte, saltando da un partito all’altro, mi pare che la filosofia sia stata quella della sperimentazione totale senza molta continuità rispetto alla preferenza espressa di volta in volta».

 

 

 

Si dice che il Parlamento sia lo specchio fedele del Paese...
«A questo proposito le racconto un aneddoto. Come si sa, ho il pallino della spending review, perciò quando esco dal bagno in Senato, spengo sempre la luce, che ritrovo puntualmente accesa ogni volta che ci torno. Ma è meglio così rispetto ai bagni del piano di sopra, dove c’è il sensore che spegne automaticamente le luci quando qualcuno se ne va».

Non ci arrivo...
«Già, perché il sensore è rotto da settimane e quindi la luce resta accesa ventiquattr’ore la giorno. La morale della favola? Ci sarebbe da risparmiare nel settore pubblico, con un po’ di buona volontà, magari poi reinvestendo nelle cose prioritarie o tagliando un po’ le tasse».

Che secondo lei il Parlamento è prevalentemente un lungo di polemica?
«Se una cosa arriva da destra, la sinistra la contesta automaticamente, e viceversa. Da economista, l’ho verificato con la proposta del ministro dell’Istruzione Valditara di aumentare gli stipendi dei professori al Nord, dove la vita costa di più, per fronteggiare il fenomeno delle cattedre vuote».

La Cgil è salita sugli scudi, parlando di gabbie salariali...
«Le gabbie salariali erano e restano sbagliate, ma l’idea di dare un’indennità aggiuntiva a chi insegna in certe zone per coprire il maggior costo della vita non significa reintrodurre le gabbie salariali. La proposta non toglie niente a nessuno, viene incontro alle difficoltà di chi si sposta dal Sud per coprire i buchi d’organico delle scuole settentrionali dovuti appunto al maggior costo della vita. Bisogna stare attenti alla demagogia e all’idealismo, altrimenti rischiamo di fare errori marchiani, come con il reddito di cittadinanza».

Una misura che non le piace?
«Un sussidio ai poveri va dato, perché l’Italia non può permettere che qualcuno muoia di fame o non abbia un tetto. Però la misura sconta due gravi difetti. Il primo è che tratta meglio i single rispetto alle famiglie con tanti figli. Il secondo è che, non tenendo conto del diverso costo della vita, privilegia di gran lunga chi vive nelle piccole rispetto alle grandi città e al Sud rispetto a chi vive al Nord».

Professore, visto che mi pare non teme di dire nulla: le dà più pena il Pd o l’Inter?
«Ecco, parliamo di cose importanti. Fatta la tara per l’annata straordinaria del Napoli, non stiamo andando poi così male».

Chi si accontenta gode. Inzaghi meglio della Schlein?
«Il problema non è l’allenatore, ma sono le casse vuote. Sono due anni che la squadra deve fare campagna acquisti cercando di chiudere in attivo. E non c’è due senza tre.
Così non è semplice vincere...».

Specie se poi gli avversari taroccano i bilanci...
«Sono qui in veste di politico e di economista e non di tifoso, sorrido ma non raccolgo».

Ma il suo progetto di scalata?
«Non è una scalata ma un piano di azionariato popolare che permetta ai tifosi di portare un sostegno economico alla società, come nel Bayern di Monaco. Senza una forte campagna pubblicitaria, che ci avrebbe consentito di ottenere migliori risultati, circa 80mila interisti hanno indicato l’intenzione di investire 212 milioni. Con una buona campagna pubblicitaria si potrebbe magari arrivare al doppio, ma per una squadra come l’Inter, tenendo anche conto della necessità di abbattere il debito si sentono cifre intorno al miliardo, perciò stiamo cercando partner esterni. A meno che il presidente Zhang non cambi idea sulla possibilità di una collaborazione tra l’attuale proprietà e l’azionariato popolare».

Il suo compagno d’area Giuseppe Sala, sindaco di Milano, non aiuta: sul nuovo stadio non decide e rimedia solo figuracce...
«Il problema è che mantenere uno stadio come San Siro vuoto costa un sacco di soldi. Per me andrebbe ristrutturato come sta facendo il Real Madrid, ma certo a questo punto le società stanno considerando altre soluzioni».

Ma lei vorrebbe uno stadio di proprietà?
«Sì, ma non di 40mila posti, visto che entrambe le squadre milanesi riescono a richiamare allo stadio 70mila tifosi. Sarei favorevole anche a uno stadio in comproprietà».

Come si fa con i milanisti, cane e gatto nella stessa cuccia?
«Per me San Siro è lo stadio dell’Inter e immagino che i milanisti lo considerino lo stadio del Milan. La cosa non mi turba».

Come con le donne di servizio, resta casa tua anche se loro magari ci stanno più di te?
«Vediamola pure in questi termini. Sul calcio stracittadino è lecito beccarsi».  

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