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Molinari su Macron: "Gli conviene allearsi con l'Italia. Ma è convinto che Berlino..."

Pietro Senaldi
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«Se la Francia capisse...».

Che cosa?
«Che sarebbe sua convenienza fare asse con l’Italia. Siamo i due Paesi che hanno economie e problemi strutturali più simili».

Debito pubblico, immigrati, transizione ambientalista...
«In particolare negli ultimi anni, Macron ha accentuato la ricerca di un asse privilegiato con i tedeschi. Pare convinto che legarsi ancora di più a un’economia più forte possa portargli qualche vantaggio mentre io ritengo che gli gioverebbe stringere i rapporti con l’Italia. La Germania ha un governo di sinistra ostaggio dei verdi. Basta pensare che la commissaria Ue, Ursula von der Leyen, pure tedesca, in Europa sta assecondando decisioni lesive per il suo Paese. Penso alle scelte sull’economia verde, che devastano la nostra industria e quella germanica senza garantire risultati veri. La lotta al motore tradizionale è suicida, consegna la produzione europea a tecnologie che vengono elaborate in Cina e a Taiwan».

Anche sull’immigrazione la Francia sceglie una linea politica nordica: frontiere chiuse e l’Italia si arrangi, ma poi molti clandestini sbarcati in Sicilia risalgono il Continente...
«Certo, l’immigrazione: Parigi sembra non rendersi conto che, se la Ue continua a lasciare sola l’Italia, i clandestini aumenteranno Oltralpe quanto da noi».

E se Macron avesse invece capito tutto e ostacolasse l’Italia perché è governata da un centrodestra forte e identitario ma molto credibile a livello internazionale e amico degli Usa, capace di demolire lo spauracchio di una donna in nero al comando, e teme che la sua eredità alla Francia sarà la vittoria della Le Pen?
«Certo una valutazione sulla politica interna francese è possibile, come anche si può pensare che le parole del ministro Darmanin contro la nostra premier siano una ripicca per il fatto che il governo italiano sta attuando una propria politica estera con la Libia e in Africa, cosa che probabilmente irrita Macron dopo l’egemonia degli ultimi anni. In entrambi i casi sarebbe però visione miope, perché Francia e Italia dovrebbero collaborare per limitare il riformismo liberista della Ue indipendentemente da chi governa i due Paesi, nell’interesse dei rispettivi popoli».

In effetti se, dopo le elezioni europee del 2024, anche la Francia di Macron sostenesse una maggioranza di centrodestra a Bruxelles, l’Europa potrebbe cambiare guida, ma con un asse latino-mediterraneo, non solo l’Est contro i Paesi del Nord. Lei cosa ne pensa?
«Non è un mistero che Fdi punti a un’alleanza tra conservatori e popolari...».

La Lega a Bruxelles è più a destra di Fdi, siede nel gruppo della Le Pen, dei tedeschi di Afd e degli ultranazionalisti. State maturando nuove posizioni, intendete cambiare gruppo?
«La scorsa settimana abbiamo dedicato il federale del partito all’argomento. Prima di ragionare sulla tattica, ossia in quale gruppo collocarsi, è importante definire la strategia, cioè cosa vogliamo fare in Europa. Oggi viviamo una contraddizione per cui a Roma siamo partito di governo a tutti i livelli, mentre a Bruxelles siamo in un gruppo che comporta l’esclusione automatica da qualsiasi potere di incidere».

 

 

 

Riccardo Molinari è l’anima riflessiva della Lega di Salvini. Il capo dei deputati del Carroccio a Montecitorio sta alla messa a terra della linea politica del segretario come il ministro dell’Economia Giorgetti al presidio dei numeri e delle istanze economiche dell’elettorato. Capogruppo anche per la capacità retorica in Aula, solitamente quando parla anticipa di qualche mese quel che sarà.
«Credo che la forza della Lega» riflette «sia da sempre quella di rappresentare il partito del fare; non a caso, da che Salvini è tornato ministro, il partito ha ricominciato a crescere. Gli elettori ci chiedono di portare avanti le loro istanze e ora bisogna capire quanto avere le mani legate in Europa per una sorta di coerenza al fatto che siamo sempre stati, giustamente, critici con le scelte ideologiche, globaliste e fondamentalmente poco democratiche di Bruxelles sia ancora compatibile con il nostro essere una forza di governo decisiva».

Lei mi dà l’idea di non ritenerla una posizione ancora troppo compatibile...
«Si può essere coerenti e fedeli al mandato elettorale anche cambiando posizioni. Quando abbiamo sostenuto il governo Draghi, molti elettori non l’hanno capito subito, però questo ci ha consentito di non far approvare la riforma del catasto, che danneggia i proprietari di case, e ora molti italiani ce ne rendono grazie. Anche in Europa adesso forse è il caso di ragionare su come provare non solo a denunciare i problemi ma pure a risolverli ed evitare tranvate. Ricordiamo che molte leggi che applichiamo in Italia ormai sono direttamente scritte a Bruxelles; il che significa che dobbiamo sporcarci le mani anche lì per difendere l’interesse degli italiani».

E per incidere bisogna cambiare compagni di viaggio?
«Sì ma non è solo una questione pratica. Noi siamo in un gruppo eterogeneo, con alcuni alleati distanti dalle nostre sensibilità su molti temi, è giusto riflettere per capire il da farsi ed essere incisivi».

È un nodo che dovrete risolvere prima delle elezioni Europee del 2024?
«Certo, anche se per ora nulla è deciso».

Salvini, anche di recente, ha difeso la Le Pen, la quale da tempo afferma di sentirsi più in sintonia con la Lega che con Fdi. Pensa che anche nel Front National sia in corso questo ripensamento, preludio di riposizionamenti che tanto preoccupano Macron?
«Non mi intrometto nelle strategie politiche degli altri partiti, per di più sedi altri Paesi, e non so prevedere che evoluzioni potrà avere la Le Pen né se diventerà una sorta di Meloni transalpina. Posso ragionare di Stati e torno a dirle che la Francia dovrebbe capire di essere un alleato naturale dell’Italia, indipendentemente da chi la guiderà».

Un cambio della Lega in Europa potrebbe essere giustificato dal fatto che l’Unione è cambiata in questi anni...
«Piano con l’entusiasmo. Certamente il Covid ha fatto prendere un grande spavento all’Europa e l’ha portata a riconsiderare alcune sue logiche e politiche rigide e miopi.
Ricordo che quando la Lega, con Borghi e Bagnai, criticava la Banca Centrale Europea, rimproverandola di non farsi prestatrice di ultima istanza, come invece la Fed, venivano presi per matti. E poi invece Francoforte si è trovata costretta a demolire i propri steccati ideologici ultraliberisti e stampare moneta per prestare denaro agli Stati. Ma bisogna vedere quanto durerà questa fase illuminata, che per ora mi pare una parentesi, visto che già si discute di tornare ai vecchi parametri di Maastricht, malgrado una congiuntura mondiale molto preoccupante per l’Occidente».

 

 

 

Gratta gratta, l’euroscettico riemerge...
«No guardi, è pura cronaca dei fatti. Con il Covid, l’Europa ha messo da parte i propri dogmi, non fosse altro perché in quel momento anche alla Germania serviva essere sostenuta dai mercati. Ma se guardiamo a oggi, con Francoforte che sul rialzo dei tassi di interesse continua a fare una politica rigorista che porta a un aumento ulteriore del costo del denaro che potrebbe stroncare le nostre economie, mi pare che sia necessaria una riconsiderazione del sistema.
Per questo insisto tanto sulla Francia».

Sul Piano nazionale di ripresa e resilienza lei ha gettato settimane fa il sasso nello stagno, sostenendo che non dovremmo prendere tutti i soldi e indisponendo il premier...
«Al netto dello strepitare dell’opposizione, per la quale il Pnrr è un totem che non si può criticare né rivedere, io ho sollevato un problema pratico sul quale mi sono venuti tutti dietro».

Lei rifiuta il caval donato...
«A parte che non tutto è donato, io voglio solo che i soldi vengano spesi bene anziché male. Il governo Conte si è occupato di portare a casa più quattrini di tutti, anche a debito, senza chiedersi come spenderli e se era in grado di farlo; il che mi porta a chiedermi se il leader grillino è stato il più bravo o il meno cauto. Il governo Draghi ha dovuto allestire in tutta fretta un piano, anche per recuperare il tempo perso dal suo predecessore; e dai cassetti è venuto fuori un po’ di tutto, pure progetti improbabili, dalle bocciofile ai cimiteri, su cui si è fatto molta ironia. A noi tocca agire e per farlo è necessario ritoccare il piano».

Quanto, il 50%?
«Anche il cento per cento, se necessario. Non dimentichiamo che il piano è stato scritto prima della guerra in Ucraina e del conseguente aumento dei costi delle materie prime, che comporta un ritocco dei preventivi almeno del 20%. Ci sono due problematiche. Per il finanziamento delle infrastrutture vanno prolungati i tempi perché la scadenza attuale è il 2026 e la storia dice che l’Italia in tre anni non riesce a completare alcunché. Basta il ricorso di un ambientalista o di un grillino a fermare tutto. Dobbiamo contrattare con l’Europa tempi diversi. Ribadisco, meglio non spendere piuttosto che buttare via».

E per il resto?
«Il discorso è lo stesso, non sprechiamo denaro. Eliminiamo certi progetti e, se vogliamo utilizzare tutti i soldi, coinvolgiamo i privati: diamoli, attraverso crediti di imposta, alle imprese che ci presentano progetti convincenti, di innovazione, risparmio energetico, competitività, digitalizzazine. Le priorità del Pnrr al momento sono economia verde e parità di genere, va tutto bene, ma solo se i soldi investiti fanno leva e generano PIL, se no indebitarci per ideologia è dannoso». 

 

 

 

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