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Giovanni Falcone, vittima di mafia ma anche delle toghe

Fabrizio Cicchitto
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Caro direttore, la commemorazione di Falcone ha registrato consensi unanimi. Questa unanimità, però, è avvenuta grazie a una incredibile rimozione di ciò che è avvenuto durante tutta la sua vita.  Falcone non è stato soltanto contrastato frontalmente dalla mafia e sabotato dalla magistratura collusa come il procuratore di Palermo Giammanco ma ha avuto sempre contro la sinistra, sia quella estrema della Rete di Orlando sia anche il Pds-Magistratura democratica.

Tutti hanno condannato il fatto che nel gennaio del 1988 perla nomina di consigliere istruttore di Palermo Meli prevalse su Falcone. Quello che non è stato detto è che il voto decisivo al Csm contro Falcone fu dato da Magistratura democratica con una dichiarazione di Elena Paciotti che affermò: «Se è di straordinario valore l’esperienza investigativa e la novità di impostazione delle indagini del dottor Falcone, non si può ignorare l’accurata istruttoria dibattimentale condotta dal dottor Meli in uno dei più gravi processi di mafia di questi anni che riguardava l’omicidio di Rocco Chinnici». Così, con questa ipocrita motivazione, la candidatura di Falcone fu bocciata.

 

 

Poi nel settembre del 1991 Leoluca Orlando, Alfredo Galasso e Carmine Mancuso firmarono un dossier di diciannove pagine nel quale attaccarono frontalmente Falcone accusandolo di avere insabbiato molti casi sospetti. Falcone dovette difendersi al Csm affermando fra l’altro che «non si può investire tutto e tutti nella cultura del sospetto la quale non è l’anticamera della verità ma l’anticamera del khomeinismo». Tutti hanno ricordato che la maggioranza del Csm preferì Antonio Cordova a Giovanni Falcone per la carica di procuratore antimafia.

VASTA COALIZIONE - Nessuno però ha detto che contro Falcone si formò una vasta coalizione composta dal Pds, da Magistratura democratica e ovviamente da Orlando. Sull’Unità del 12 marzo 1992 Alessandro Pizzorusso scrisse un articolo dal titolo “Falcone superprocuratore? Non può farlo, vi dico perché. Il principale collaboratore del ministro non dà più garanzie di indipendenza”. Pizzorusso fa obliquamente riferimento al fatto che siccome Falcone era stato emarginato nell’ambito della magistratura Claudio Martelli, allora ministro di Grazia e Giustizia, ebbe il merito storico di chiamarlo al ministero come direttore degli Affari penali. Ovviamente, con l’ipocrisia che caratterizza quel mondo, dopo la strage di Capaci tutti i post-comunisti si professarono amici di Falcone e lo appellarono “Giovanni”.

 

 

A questa ipocrisia reagì un personaggio, certamente al di sopra di ogni sospetto sul terreno del giustizialismo e dell’antimafia come Ilda Boccassini che intervenendo a una assemblea di Magistratura democratica a Milano che celebrava Falcone così sviluppò il suo attacco frontale prendendo di mira fra gli altri Gherardo Colombo: «Anche voi avete fatto morire Falcone con la vostra indifferenza, le vostre critiche, voi che diffidate di lui. Le parole più gentili erano queste: Falcone si è venduto al potere politico e tu, Gherardo Colombo, che diffidavi di Giovanni, che sei andato a fare al suo funerale? L’ultima ingiustizia l’ha subita proprio da voi di Milano, gli avete mandato una rogatoria per la Svizzera senza gli allegati». Gli allegati non c’erano perché quelli del pool non si fidavano del direttore degli Affari penali.

Quindi, caro direttore, dopo la morte Falcone ha avuto l’unanimità dei consensi ma durante la sua vita è stato contrastato non solo dalla mafia e dalla magistratura corrotta, ma da un bel pezzo della sinistra politica e giudiziaria. Ciò è avvenuto perché mai egli volle strumentalizzare in chiave politica la lotta contro la criminalità organizzata. La prova di tutto ciò la diede quando bocciò come inattendibile un pentito di nome Pellegriti che aveva parlato di Andreotti. Questa bocciatura provocò le ire di tutta una parte della magistratura e di chi nel Pci-Pds tirava le file dell’operazione antimafia per colpire al cuore la Dc.

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