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Giorgia Meloni, tassa sulle banche? Una mossa da vera conservatrice

Spartaco Pupo
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Più che sorprendere gli investitori, la mossa del governo spiazza gli osservatori politici di tutto il mondo. Chi l’avrebbe mai detto che un governo di destra-centro, venuto immediatamente dopo quello presieduto da un banchiere influente come Draghi, potesse arrivare a tassare le banche?

Shock e surprise campeggiano nei titoli dei quotidiani del mainstream angloamericano, dal Guardian al Washington Post, che tentano di liquidare l’idea di tassare del 40% gli extraprofitti delle banche come la solita trovata populista e balneare. In verità, sono i loro stessi lettori a intuire quanto la Meloni e i suoi ministri siano riusciti a rovinare le vacanze non tanto ai leader dell’industria finanziaria e delle banche centrali, quanto agli opinion makers della sinistra italiana e internazionale.

Il provvedimento del governo si regge su un dato inoppugnabile: nel momento in cui le famiglie e le imprese sono alle prese con il costo della vita, l’inflazione più alta degli ultimi 40 anni e le incertezze del post-pandemia, le banche godono di benefici enormi derivanti da un innalzamento senza precedenti dei tassi di interesse, cui non corrisponde un’adeguata retribuzione del risparmio. Si prevede allora che i soldi prelavati con l’una tantum sugli extraprofitti bancari – più di 2 miliardi di euro – contribuiscano a coprire i tagli fiscali e gli aiuti ai titolari di mutuo in difficoltà.

Si tratta, non c’è dubbio, di una misura molto coraggiosa, espressione di una politica finalmente capace di decidere in autonomia rispetto ai diktat della grande finanza. Il consenso ampio che si appresta ad ottenere impensierisce non poco le opposizioni, ed è questo l’aspetto politicamente più rilevante della vicenda. Il provvedimento, solo apparentemente “di sinistra” per l’esigenza di equità sociale che l’ispira, è perfettamente in linea con la tradizione conservatrice europea. La tassazione straordinaria è solo in teoria appannaggio della sinistra a caccia dei ricchi epuloni che realizzano profitti esorbitanti alle spalle dei meno abbienti. Ma negli ultimi 40 anni, in realtà, i più assidui utilizzatori di questa tattica sono stati governi conservatori. Chi dice che in Spagna, nel novembre scorso, il governo di sinistra sia stato il primo a colpire le banche con un’imposta straordinaria, dimentica che l’Ungheria di Viktor Orbán da sempre prende di mira le strategie inique dei banchieri, ricevendo in cambio il forte sostegno dell’opinione pubblica. 

E benché nel Regno Unito gli istituti di credito non siano ancora stati tassati, anche il governo del conservatore Rishi Sunak ha chiesto loro di venire incontro alle famiglie con l’innalzamento dei tassi di risparmio. È proprio dalla storia inglese che viene il precedente più significativo. Correva l’anno 1981 quando Geoffrey Howe, l’allora cancelliere di Margaret Thatcher, introdusse un’imposta speciale in grado di generare circa 400 milioni di sterline di entrate extra, equivalenti a circa un quinto dei profitti in un anno. 

La scrematura del 2,5% dei depositi bancari provocò la reazione costernata di non pochi conservatori britannici, che la considerarono contraria alla linea di un governo sorretto da forze libertarie e liberiste. La Thatcher non indietreggiò di un millimetro, e con quel provvedimento lenì concretamente i dolori provocati dalla recessione. Certo, la Meloni non è la Thatcher, e le differenze legate al contesto storico, economico ed istituzionale di riferimento sono enormi. Ma il piglio decisionista che caratterizza la leader italiana ricorda molto quello della “lady di ferro”. Anche i rispettivi partiti, conservatori sì, ma pragmatici quanto basta se c’è da aiutare la gente comune, si somigliano sempre di più. E la destra, oggi come allora, sa essere molto più “sociale” di una sinistra che, alla prova dei fatti, si ritrova ancora una volta naturale alleata del capitalismo finanziario.

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