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Romano Prodi e la grande balla sull'Euro: giusto non dimenticare

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Leporello
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«La riforma costituzionale? Non la voglio!» Per Romano Prodi, due volte premier e per due volte rispedito a casa dalla sua stessa maggioranza, la stabilità dei governi è come per Nennillo il presepe di casa Cupiello, non gli piace. La sinistra in ambasce rispolvera il suo padre nobile e ne affida subito il labile pensiero alle amorevoli cure delle fattucchiere nostre, i giornali di John Elkann, Carlo De Benedetti e la tivù di Urbano Cairo.

Così scopriamo che in realtà all’ex premier neppure questa Unione Europea piace perché «è un pane cotto a metà. E quando il pane è cotto a metà non è buono», dimenticando non solo di aver spinto gli italiani ad abbandonare la lira per l’euro con una clamorosa bugia - «lavoreremo un giorno di meno e guadagneremo come se lavorassimo un giorno di più» ma anche di essere stato proprio lui uno dei mastri fornai per 5 anni al vertice della Commissione Ue.

 

Figurarsi poi se a Prodi poteva mai piacere l’accordo tra Giorgia Meloni ed Edi Rama: un “giochino” l’ha liquidato, lui che da capo del governo italiano si presentò a Valona scortato dal bandito Zani Caushi, ora all’ergastolo e che dopo, ordinando il blocco navale alla Marina italiana, causò l’affondamento della “Katër i Radës” con un centinaio di albanesi annegati nel golfo di Otranto. Giusto per non dimenticare.

 

 

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