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Fausto Bertinotti demolisce il Pd: "Sinistra inesistente, sono solo un selfie"

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Fausto Bertinotti lo conoscete tutti. È il leader di sinistra più di sinistra che c’è. Ha 83 anni, è stato capo di Rifondazione Comunista, presidente della Camera, e ancora oggi continua a scrivere, a parlare, a pensare, e a fare il testimone della vecchia sinistra italiana. Dalle sue analisi complesse esce una verità invece semplicissima: la sinistra, in Italia, non esiste più. È tutta da rifare. Ascoltiamolo.

Presidente, partiamo da venerdì. Lo sciopero dei sindacati. Lei se ne intende di scioperi. Ne ha visti e anche guidati e promossi molti, dagli anni ’60. Come lo ha visto questo sciopero di Landini e Bombardieri?
«La prima cosa che mi viene da dire è: finalmente. Nelle vicende sociali e sindacali c’è un indicatore che è sempre centrale: il salario. Negli anni in cui il sindacato era una “autorità salariale” (si chiamava così) il salario era indicativo sia del potere contrattuale dei lavoratori, ma anche della dinamica dell’economia di tutta la società. La rincorsa salariale negli anni ’60-’70 determinò un’innovazione profonda del tessuto produttivo italiano. Alti salari uguale stato di relativo benessere».

E oggi invece cosa è cambiato?
«Oggi siamo messi così: che da nessuna parte il problema dei bassi salari è così forte come in Italia. Tra il 1990 e il 2020 i redditi da lavoro (calcolati in potere di acquisto) in Italia sono scesi, mentre nello stesso periodo sono aumentati del 48% negli Stati Uniti, del 33 in Francia e del 30% in Germania. Un disastro per noi. Risultato dell’azione di una tenaglia: da una parte le politiche delle imprese che hanno costruito la competizione sui bassi salari, dall’altro la politica dei governi degli ultimi trent’anni. Ho detto: “dei”, plurale, ché è stata sempre, o quasi sempre, una politica contraria agli interessi dei lavoratori. Perciò dico: finalmente. Finalmente perché almeno si mette il dito nella piaga».

Ma lo sciopero secondo lei è riuscito o è stato un flop?
«Chiunque si occupi di queste cose, sa che dopo una tregua così lunga, la ripresa degli scioperi è una cosa molto difficile. Perciò penso che sia stato un successo importante. Forse favorito anche dalle sortite del governo. Perché se tu operi una provocazione nei confronti dello sciopero, automaticamente favorisci la riuscita dello sciopero ...».

Quindi lei dice che Salvini ha dato una mano a Landini...
«Sì perché ha rivelato che c’è nel governo un atteggiamento antisindacale. Di fronte a uno sciopero, invece di cercarne le cause, il ministro decide un’azione repressiva. Aggiungo che non è una sgrammaticatura di un ministro particolarmente aggressivo, che va molto oltre i comportamenti tipici delle destre...».

Lei dice che Salvini ha esagerato?
«Beh le faccio osservare che durante i recenti scioperi dei sindacati americani - che hanno portato a un aumento del 25% per i metalmeccanici - a fare i picchetti davanti alle fabbriche c’era un signore che si chiama Donald Trump. Capisce la differenza tra i leader americani che vanno al picchetto e i leader italiani che precettano...».

Lo sciopero ha dato una scossa alla sinistra dormiente?
«Purtroppo temo di no. Perché non basta mettersi a rimorchio di una lotta per riscoprire il valore del conflitto sociale. Il Pd questo terreno non lo conosce».

Perché?
«Perché è diventato da diverso tempo un partito liberale...».

Liberale?
«Sì. E per ricostruire una dimensione autentica del proprio rapporto col popolo - mi lasci dire: del proprio rapporto di classe - non basta mettersi al seguito di qualcuno: occorre ricostruire, rifondare, tutta la propria cultura politica».

La sinistra ha perso la sua anima? Quando vede questa che viene chiamata sinistra, a lei piange il cuore?
«Questa che chiamiamo sinistra, dopo la fine del ‘900 - che è stato il suo secolo- è diventata una categoria indefinita. Nel ’900 la sinistra era comunista, o socialista, o laburista, ma era una cosa precisa e faceva riferimento al movimento operaio. Dopo la fine del ‘900 si è aperto un nuovo ciclo che ha diversificato la sinistra da paese a paese. La sinistra americana, la sinistra francese, la sinistra italiana: sono cose completamente diverse. In Francia abbiamo avuto la rivolta dei gilet gialli. Poi nove scioperi generali in pochi mesi contro la riforma delle pensioni. Parigi inondata da lotte potenti. Per settimane. In Spagna ha una capacità persino di misurarsi sul terreno del governo, e di conquistarlo, quando tutti parlano di ciclo della destra. Dell’America abbiamo detto. Quindi plurale: le sinistre sono diversissime».

E in Italia?
«In Italia, che ha avuto la più grande sinistra d’Europa e il più grande sindacato confederale d’Europa- il sindacato dei consigli- la sinistra è precipitata da un punto più alto e si è fatta più male».

Perché è precipitata?
«Perché si è separata da quella storia. E separandosi da quella storia si è separata dalla cultura del conflitto. Per me è una questione di fondo».

Da dove può più rinascere la sinistra?
«Forse dall’America. L’ex candidato alla Casa Bianca Bernie Sanders una volta rispose a tre domande. Perché la destra ha vinto? Perché la sinistra ha abbandonato i lavoratori, ha risposto. Seconda domanda: perché la sinistra ha perso? Perché ha abbandonato i lavoratori. Terza domanda: cosa deve fare la sinistra: Tornare dai lavoratori».

Lo si vede forse anche dai risultati elettorali. La sinistra vince nei quartieri borghesi e perde nelle periferie.
«Le dico che la sua osservazione descrive una tendenza reale che però può essere rovesciata. Negli Stati Uniti, quando Trump vince, vince anche perché conquista il voto operaio disilluso dalle politiche democratiche. Quando però entra in parlamento la sinistra democratica e rovescia le politiche precedenti, i democratici riconquistano le periferie. Vede: la partita sarebbe aperta se esistesse una sinistra».

Non c’è una sinistra?
«Secondo me non c’è. Lo dico con molto rammarico. A oggi non c’è».

Però il Pd una settimana fa è sceso in piazza...
«Vede la differenza tra lo sciopero dei sindacati e la manifestazione del Pd? Lo sciopero ha inciso, è entrato nella battaglia politica, ha costretto il governo a entrare in dialettica, in scontro. La manifestazione del Pd niente di tutto questo. Ininfluente. Era una semplice fotografia con autoscatto. Non diceva cosa vogliamo, ma chi siamo». E chi sono? «Un popolo per bene politicamente ininfluente».

La mancanza di opposizione danneggia anche il governo?
«Una volta era così. Oggi i governi preferiscono non avere opposizione. C’è una tendenza totalitaria». Nei governi di destra? «No, nei governi, tutti i governi».

La Schlein ha fatto bene o male a rifiutare l’invito ad Atreju di Giorgia Meloni?
«Scelta personale. Non ha a che fare con la politica. Non vedo nessun significato politico in questo atto».

Nemmeno la voglia di sottrarsi al confronto?
«No. Comunque non voglio parlare di questo argomento. Che si discuta solo di Schlein e Atreju mentre si combatte sullo sciopero generale è una spia della malattia politica del paese».

Lei però è andato a Atreju. Ha conosciuto bene Meloni.
«Sì, Meloni era vicepresidente della Camera quando io ero presidente. Abbiamo avuto un rapporto di molta cordialità e anche reciproca curiosità. Mi piaceva molto di più la Meloni di allora che la Meloni di oggi».

Che differenza c’è?
«Quella era tutta politica, questa è tutta governo».

E non le piace come si sta muovendo.
«No».

L’Unità continua a scrivere che nel governo prevale un’idea fascista. Non le sembra una esagerazione?
«Guardi io all’inizio ero convinto che questo governo fosse a-fascista. Cioè volesse sostituire con l’a-fascismo i vecchi valori antifascisti. E la cosa mi preoccupava. Ora però c’è stata una evoluzione. Io non direi mai che questo governo è fascista. Dico però che questo governo scopre delle pulsioni che si riferiscono a vecchie idee fasciste. Per esempio: come si fa a non vedere una analogia tra la proposta di riforma costituzionale e la vecchia legge Acerbo? (La legge Acerbo è la legge elettorale maggioritaria che nel 1924, dopo l’uccisione di Matteotti, determinò la vittoria del regime, ndr). Riassumo?».

Riassuma.
«Non è un governo fascista ma è un governo che recupera dei valori programmatici che furono anche del fascismo».

Cosa pensa della guerra tra Israele e Hamas?
«Siamo a un’altra tappa di quella guerra mondiale che solo il Papa aveva capito da tempo che era in corso. Inascoltato. C’è una avversione crescente dei paesi del terzo mondo per l’Occidente. Siamo di fronte alla crisi dell’Occidente».

C’è però una deriva di antisemitismo.
«Una risorgenza. Torna sempre a galla. E bisogna combatterlo. Però senza confondere l’antisemitismo con l’opposizione a Netanyahu». 

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