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Pozzolo, Gianfranco Fini: "Pozzolo? Lo allontanammo da An"

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Gianfranco Fini tira fuori il vecchio proverbio dell’albero che quando cade fa più rumore della foresta che cresce per difendere Giorgia Meloni dall'accusa di essersi circondata di una classe dirigente mediocre. "Tra il goliardico e l’approssimativo i casi sono pochi. I parlamentari di Meloni sono circa 150: finora quelli, diciamo, irregolari saranno cinque o sei", puntualizza il padre della destra italiana di governo intervistato da Simone Canettieri per il Foglio respingendo anche oggi addebito di responsabilità sui "suoi nipotini". "Ma per favore!", risponde al Foglio. "Quel tizio, quando ero presidente di An, lo allontanammo, senza nemmeno espellerlo, dalla federazione di Vercelli perché era un violento estremista verbale. Il suo caso non finì sulla mia scrivania, ma se ne occupò Donato Lamorte, capo della mia segreteria politica. Capimmo che era un balengo, come si dice in Piemonte, e lo accompagnammo alla porta: via, andare”. 

Fini ovviamente si riferisce a Emanuele Pozzolo, il 38enne deputato di Fdi espulso dal partito per quel colpo calibro 22 sparato chissà come dalla sua pistola al veglione di Capodanno invitato dal compagno d'Aula di Andrea Delmastro e finito nella gamba dell’elettricista di Candelo, genero del capo della scorta assegnata al sottosegretario. Alla domanda di Canetteri su quanti Pozzolo ha cacciato quando ha fondato An, Fini l’uomo di ghiaccio ma fumantino come le sue bionde (nel senso delle sigarette) ammette che non furono molti. "Non tanti", spiega il vicepremier e presidente della Camera, "perché tutto un armamentario nostalgico si staccò prima, non ci seguì. Ricordo i miei amici che mi davano del traditore. Altri tempi, che ricordi. Ma all’epoca avevamo la presunzione di uscire dalla casa del padre senza farne mai più ritorno”. 

 

Fini, a seconda delle fasi nel primo anno del governo Meloni è stato consigliere, esegeta, ma a un certo punto anche fastidioso grillo parlante ad ascoltare certe reazioni piccate della nouvelle vague, fa notare Canetteri sul Foglio che poi gli chiede se servirebbe un nuova Fiuggi per Giorgia Meloni. “Non spetta a me dirlo", risponde Fini. "Di sicuro vanno aperte le porte, servono energie nuove stando accorti alle persone, verificandone gli intendimenti politici”. “Tuttavia certi processi sono irreversibili. Il brand è lei e le europee lo confermeranno. Il che non vuole dire che non debba migliorare la sua classe dirigente, ma Giorgia non ha fretta né bisogno di strappi repentini". "Deve essere più liberale, questo sì, a partire dai diritti”, conclude Fini. 

 

 

 

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