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Schlein accerchiata da dem e alleati: "La candidatura alle Europee? Una presa in giro"

Massimo Sanvito

È accerchiata Elly Schlein. Soffia fuoco amico sulla testa della segretaria, sia dall’interno del suo - si fa per dire - partito che dalle postazioni alleate. Candidatura sì o candidatura no? Il dilemma la attanaglia e la consuma ogni giorno di più. Correre alle Europee come capolista in ogni circoscrizione, per provare a capire di che salute gode il suo nome, oppure far finta di nulla ed eliminare alla radice la possibilità di una figuraccia? Quello che è certo è che Elly, ora, è all’angolo. Minacciata dalla sua stessa coalizione, che in coro le dice «non candidarti!». C’è chi teme possa consolidarsi come leader del centrosinistra e chi valuta la mossa controproducente a fini prettamente elettorali. Se infatti Giorgia Meloni - secondo le analisi l’Istituto Cattaneo - varrebbe da sola uno o due punti percentuali per Fratelli d’Italia, la Schlein al contrario rischierebbe di non spostare una virgola per il Pd ma anzi di drenare preferenze all’Alleanza Verdi e Sinistra, i suoi alleati più fedeli (il 50 per cento degli elettori la stima), tenendola sotto la soglia minima del 4 cento.

E allora via con le cannonate. «Sono d’accordo con Prodi. Chi si candida in qualsiasi istituzione europea, poi deve compiere quel mandato. So quanto sia impegnativo lavorare nelle istituzioni europee, Europarlamento compreso. L’atteggiamento di Meloni e, a quanto pare, anche di Schlein a me sembra la prova provata che né all’una né all’altra importa dell’Europa, ma piuttosto sono prese dalle convenienze italiane. Si tratta di discutere l’elezione al Parlamento europeo, non di fare la conta italiota», ha detto la leader di +Europa, Emma Bonino, in un’intervista a Repubblica. E poi ecco Carlo Calenda, numero uno di Azione, a “Il caffè della domenica” su Radio24: «Tanti mesi fa dissi che secondo me i leader politici, i segretari di partito, avrebbero dovuto fare un accordo e dire: non ci candidiamo, perché sappiamo che poi non andremo in Europa. Credo che sarebbe giusto che Schlein e soprattutto Meloni dicessero: non ci candidiamo, sarebbe una presa in giro». Potevano mancare i Verdi? Certo che no. «È un dovere, per chi si candida alle elezioni, rispettare la volontà dei cittadini, qualora venisse eletto come europarlamentare. Dimettersi dopo l’elezione sarebbe una beffa. E questo vale per tutte e tutti i leader», ha detto il deputato Angelo Bonelli.

 

 

Ma c’è spazio anche per un affaire in tinte rosa. A spiegarlo, in un’intervista al Corriere, è stata Paola De Micheli, deputata del Pd. «Capisco chi pensa che possa essere un bene che Elly Schlein si candidi per Bruxelles. Si punta sul traino vincente della segretaria. Ma le controindicazioni per questa operazione sono diverse». Cioè? «Vorrei cominciare dall’effetto che inevitabilmente genererebbe sulla corsa delle altre candidate. La segretaria capolista dovrebbe lasciare il posto al secondo, un uomo, per via dell’alternanza». E ancora: «Una candidatura della segretaria porterebbe il resto del partito a impegnarsi con poco entusiasmo nella competizione elettorale. C’è invece bisogno di tutte le forze in campo, in un impegno collettivo a ogni livello di tutte e di tutti». La direzione è chiara: dentro il Pd non vogliono che Elly provi ad alzare la testa. E le scuse sono a dir poco risibili. «Non dobbiamo essere identificati come il partito del leader. C’è già il partito di Giorgia Meloni per questo». Sia mai di imparare qualcosa da chi ha portato un partito ai margini alle soglie del 30 per cento...

 


«Ricordiamoci di Matteo Renzi: candidò in Europa cinque donne. Con lo straordinario risultato che ricordiamo», ha sottolineato la De Micheli. Arrivando persino ad aggiungere: «Sarebbe la prima segretaria a candidarsi». E dunque? Persino un alto funzionario del Parlamento Europeo ha bollato come pratica «tipicamente italiana» quella dei leader a candidarsi per trainare il proprio partito Chi vivrà vedrà ma chi oggi vuole impallinare Elly Schlein ancor prima della contesa europea, parlando di «finte candidature» che sono «una presa in giro» perché «ingannano i cittadini», ha la memoria molto corta. E sì che a sinistra dovrebbero intedersene di fiducia tradita: loro che hanno governato oltre decennio senza vincere mezza elezione o- il caso di Calenda è da manuale - hanno cambiato partito per convenienza dopo aver trovato una comoda poltrona.