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Sardegna, rispunta Franceschini: chi al Nazareno tifa "campo largo"

Elisa Calessi
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«È una vittoria di Elly». A metà pomeriggio, quando lo scrutinio delle elezioni in Sardegna procedeva lentissimo, prospettando uno sfiancante testa a testa tra Alessandra Todde, l’esponente del M5S, appoggiata da Pd e da tutto il centrosinistra, e Paolo Truzzu, il candidato di Fratelli d’Italia, appoggiato dal centrodestra, questa era già la lettura che si dava al Nazareno. Quasi negli stessi minuti si comunicava che la segreteria aveva deciso di volare a Cagliari «per seguire le ultime fasi dello spoglio». Lo stesso viaggio di linea, si veniva a sapere, scelto da Giuseppe Conte, anche lui diretto a Cagliari.

E questa foto che purtroppo possiamo solo immaginare, la segretaria del Pd e il presidente del M5S, seduti fianco a fianco nel volo Roma-Cagliari, proprio loro due che durante la campagna elettorale si sono sfiorati ma evitati, fino al mancato comizio finale (perché Todde aveva preferito chiudere da sola), è l’istantanea, per quanto riguarda il centrosinistra, di queste elezioni.

 

 

Nel bene e nel male. Perché se è vero che, oggi, questo asse segna una serie di record (è la prima regione che il centrosinistra strappa al centrodestra dal 2015, è la prima regione che Pd e M5S insieme vincono), è vero anche che, da ora in poi, chi aveva dubbi su questo connubio - a cominciare dai riformisti dem- non potrà per un bel po’ aprire bocca. E questo è l’amaro che, in alcune chat dem, si masticava in fondo al dolce della vittoria. «Fino almeno alle Europee nessuno potrà più fiatare», osservava un dem.

Che la lettura politica sia obbligata- ha vinto il campo largo, ha vinto l’alleanza Pd-M5S - lo ha detto, del resto, con parole che suonano come una sentenza di terzo grado, Dario Franceschini, tra i primissimi sostenitori di questo connubio e primo sponsor di Elly Schlein. Poco dopo le 21, a scrutinio ancora in corso, l’ex ministro scriveva, assertivo come non mai, sui social: «La Sardegna indica che la strada imboccata tra mille difficoltà nel settembre 2019 era quella giusta. Ora va percorsa con convinzione e generosità». Riferimento a quel governo giallorosso tanto criticato anche (soprattutto) nel Pd. Tanto che le parole di Franceschini sembravano quasi più rivolte all’interno, ai detrattori del campo largo. Che sono tra i dem, ma persino nel M5S, a cominciare da Conte che non ha risparmiato ironie e scherni sul campo largo.

E qui c’è il primo paradosso, che spiega l’esultanza di ieri nella cerchia di Elly Schlein: è avanti la candidata del M5S, ma la sponsor dell’operazione è quasi più Elly (che ieri festeggiava un anno dall’elezione alla segreteria) di Conte. Perché è vero che si tratta di una dirigente del M5S, peraltro vicinissima a Conte. È vero che è stato lui a imporla, pretendendo che non si facessero le primarie (che voleva un pezzo del Pd). È vero che Schlein, per accontentare Conte, ha subìto la frattura con Renato Soru. Ma è anche vero, come ieri tutti ammettevano nel Pd (i suoi e quelli che non sono suoi) che Schlein si è intestata in ogni modo questa scelta. È andata più volte in Sardegna, ha accettato critiche interne ed esterne, a Roma e dall’isola, ha sostenuto fino alla fine, contro tutto e tutti, il nome di Todde. Il secondo paradosso, che contribuiva all’esultanza dei dem, è il risultato di lista del Pd, che, a scrutinio in corso, si aggirava intorno al 14,4%, conquistando il podio del partito più votato migliorando rispetto a cinque anni fa (quando si era fermato al 13,4%), doppiando il M5S (fermo a 7.6%), ma dietro, pare al partito della Meloni (13,9%).

 

 

Per questo, ieri, i più esultanti, persino mentre il testa a testa faceva impazzire gli staff, erano quelli vicini a Schlein. «Todde era la candidata giusta», spiegava Chiara Braga nel pomeriggio. «Per lei si sono spesi molti dirigenti perché il progetto portato avanti con i Cinquestelle e le altre forze locali era credibile. Credo che anche in altri territori si possa proseguire con questo modello che credo convinca». La strada, insomma, è segnata. L’altra faccia della medaglia è il silenzio dei riformisti dem. Non una sola dichiarazione, ieri, è arrivata da quella parte. Perché è chiaro che la vittoria di Todde fa piazza pulita di ogni altra ipotesi. A cominciare dai centristi, che in Sardegna stavano con Renato Soru.

Dunque, la vittoria di Todde si può anche leggere come la prova che il terzo polo o quel che ne rimane, non è influente. Si può vincere una persino senza. Altra conseguenza del voto sardo, oggetto di riflessioni ieri sera a caldo, è il rafforzamento della leadership di Schlein, dopo mesi di difficoltà. Per due ragioni. La prima è che la battuta d’arresto di Giorgia Meloni, in questo ormai evidente destino parallelo tra le due leader, rafforza la sua competitor: Schlein. La seconda è che la vittoria dell’alleanza M5S-Pd, è la vittoria della strategia tenacemente perseguita da Schlein. Persino a dispetto della diffidenza di Conte. D’altra parte, come si osservava tra i riformisti, questo risultato rischia di coprire un problema che resta aperto, incarnato da quell’8% raccolto da Renato Soru. Questa volta la formula Pd-M5S-Avs ha vinto lo stesso. Ma siamo sicuri che questo modello sia vincente dappertutto e soprattutto a livello nazionale? Nel Pd in tanti hanno dubbi. Ma, dopo la vittoria di Todde, se li dovranno tenere per sé.

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