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Abruzzo, vince la destra: la spallata se la sognano

Francesco Specchia
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“Sem a lu centr de lu monn...”, siamo al centro del mondo, azzarda il podista entusiasta, interrompendo la sua corsa in quel pezzo di lungomare che dalla fontana della Nave di Cascella s’affaccia sulla centralissima Piazza Salotto. Ha ragione il ragazzo con l’asma, paonazzo e in scarpette da corsa. Oggi è il giorno in cui l’Abruzzo pare davvero l’Ohio. Pare.

Pescara è il cuore delle Regionali, quelle della vita per il candidato di centrodestra Marco Marsilio (anch’egli maratoneta della squadra locale dei Tocco Runners di Tocco da Casauria) e per il di lui antagonista, il rettore teramano Luciano D’Amico, perno del campo larghissimo del centrosinistra. Spingendo la notte più in là, nel cuore delle tenebre, nel momento in cui scriviamo, la forbice a favore di Marsilio (48,7%-52,7% contro 47,3%-51,3%) accompagna la politica nazionale a una seduta di autocoscienza collettiva, una sorta di resa dei conti sia a destra che a sinistra. Ma ne parliamo dopo. Ora torniamo all’incipit del racconto di questa domenica desueta.

Sin dal mattino, Pescara preannunciava una nevrosi innaturale. Tutt’intorno, sotto un cielo che borbottava tempesta, il tempo si dilatava tra le bancarelle della prima “Fiera del Cioccolato” cittadina, tra la folla dei 110 giornalisti accreditati (compreso il londinese Times), tra nugoli di passeggiatori da spiaggia con cani. E di famigliole dal sorriso stinto; e di ragazzini in abiti da maranza - direbbero a Milano- saldamente allergici alla politica, per i quali l’urna elettorale ha il fascino di un’urna cineraria. Il centro della città era avvolto dai manifesti con l’effige dello stesso Marsilio che punta il ditino verso l’alto, un cauto riferimento agli déi dell’autonomia differenziata e dei fondi di coesione, sotto la scritta: “Il governo che fa bene all’Abruzzo”. Il “governo” è il suo, ovviamente.


SUCCESSI
Ed era, a sua detta, l’amministrazione della fatica, quella che, a loop, ripete i successi del bilancio con i conti in ordine, con i fondi del Pnrr sfruttati fino all’ultima goccia assieme a quello di coesione appunto; con i capitoli di spesa del Cipes pettinati per il pelo giusto, con la rete ospedaliera riattivata assieme alle liste d’attesa abbattute del 18% e ai punti - nascita già chiusi dalla severità della burocrazia e ora riaperti dalla Regione. Per non dire della cultura rifinanziata che sta accendendo la lenta rinascita de L’Aquila. Tutto. Tutto, qui, rientrava nel calderone elettorale che i sondaggi di Antonio Noto traducevano in un distacco tra i 2 e i 5 punti alla prime affluenze di ieri sera. Questo era il sentiment del centrodestra, un misto di entusiasmo e propaganda che emanava dal quartier generale di Marsilio in via Parini dietro la piazza Salotto, condiviso con un locale leghista al centro della città. Ma bastava spostarsi a poco più di un chilometro, a piazza Unione, oltre il porto -canale e l’Asse attrezzato, che l’idea della vittoria subiva un’altra narrazione.

Lì si erge la sede del centrosinistra, sotto un murales col volto di D’Annunzio e il monumento all’eroe locale Ennio Flaiano sormontato dalla frase “La felicità consiste nel desiderare ciò che si possiede”; che, poi, contrasta con “l’Abruzzo merita molto di più” ossia lo slogan appiccicatogli accanto da D’Amico sulla vetrina della sede democrat. Il cui candidato liberal a coloritura variabile è noto per essere persona dabbene e di riconosciute capacità. Ma D’Amico è pure l’emanazione di Luciano D’Alfonso ex governatore della Regione per il Pd di cui, in generale, in giro non s’avverte la mancanza. Ora D’Alfonso riveste il ruolo del king maker di D’Amico; ma ad impressionare è la prima grande alleanza trasversale antimeloniana che ha puntato alla reconquista degli indecisi, da queste parti storicamente vellicati a sinistra. Ed è proprio questo coacervo d’alleanze (Pd, M5S, pure +Europa e Renzi e Calenda anche se pare loro non lo sapessero, anche se da queste parti ci sono passati tutti i leader rigorosamente senza incrociarsi, con Alessandra Todde simbolo della Sardegna “libera” portata in giro in ostensione come la Sindone); ed è giusto quest’inedita, seppur posticcia, idea del centrosinistra che ha spinto, simmetricamente, lo staff di D’Amico a “essere sicuri di un distacco di un solo punto”. D’Amico, ieri sera, suonava la carica: “In Abruzzo vincerò io, credo con più del 52 per cento”.

LA CENA
Epperò la stessa cosa affermava Marsilio, a cena, ieri sera, dopo aver votato a Chieti e avere denunciato Marco Travaglio a causa delle dichiarazioni dello stesso direttore del Fatto in tv. E Marsilio evocava scaramanticamente l’augurio di un sorpasso sofferto ma certo; e lo faceva con gli stessi amici con i quali, nella scorsa edizione delle Regionali, aveva celebrato il rito dello spoglio prima della vittoria.
Una roba quasi mistica, da Cenacolo vinciano della Marsica. Questo fino -per tornare a bomba- ai risultati sgranati, a rate, nella notte.

CONTRASTI
Dopodiché, fermo restando che l’Abruzzo sarà pure come l’Ohio ma non inciderà certo sul governo nazionale, a centrodestra si rimoduleranno tutti gli equilibri all’interno della maggioranza: basta con i contrasti interni e, sulla base di una gerarchia elettorale ben precisa, via con le prossime elezioni in falange oplitica. Mentre a centrosinistra il “campo largo” -che ha funzionato ritagliato sulla figura di Alessandra Todde, in Sardegna- pare sempre più una spregiudicata prassi elettorale senza grande futuro a livello di politica nazionale, però fa emergere un interrogativo prepotente: di chi sarà la vera leadership da quella parte della barricata? Adda passà, pure qui la nuttata...

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