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Luigi Einaudi, i 150 anni dalla nascita dell'intellettuale imprenditore di libertà

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Giuseppe Bedeschi
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 Il 24 marzo ricorre il 150° anniversario della nascita di Luigi Einaudi, una personalità alla quale la storia sociale e politica della nostra repubblica deve moltissimo: preziosissima fu la sua opera negli anni della ricostruzione del secondo dopoguerra, come governatore della Banca d’Italia e come ministro del tesoro e delle finanze nel IV governo De Gasperi, e poi come presidente della Repubblica. Ma altrettanto prezioso fu il suo contributo alla cultura politica italiana, con un ampio ventaglio di saggi e di articoli.

Negli anni nei quali il nostro Paese ebbe un fortissimo Partito comunista, finanziato e sostenuto dall’Unione Sovietica, Einaudi svolse una polemica implacabile contro il collettivismo marxista. Là dove esiste il comunismo, egli diceva, non ci possono essere forze indipendenti da quelle dello Stato. Una sola deve essere la volontà la quale dirige e fissa la produzione e la distribuzione dei beni economici. La volontà unica potrà avere di volta in volta come strumenti di azione organi burocratici, o cooperative, o altri enti: il mezzo scelto come strumento di azione non importa. «Essenziale alla vita del sistema [comunistico] è che gli strumenti di azione non abbiano una volontà propria, diversa e indipendente da quella dello Stato e del gruppo politico in cui lo Stato si impersona». Se la volontà è unica e la società collettivistica è perfetta, può esistere una sola ideologia, un solo credo intellettuale e spirituale. «Non sono tollerabili ideologie concorrenti, eresie le quali tendono necessariamente a distruggere e a sostituire l’ideologia dominante... Il comunismo non può dunque tollerare la libertà di pensiero, che lo trasformerebbe e minerebbe a breve andare».

 

 

PENSIERO ED ECONOMIA
La libertà di pensiero è connessa necessariamente, diceva Einaudi, con una certa dose di liberismo economico. Non si tratta di far dipendere la vita dello spirito dall’economia (come temeva Benedetto Croce); bensì si tratta del fatto che «lo spirito libero crea un’economia a sé medesimo consona, e non può creare perciò un’economia comunistica, che è economia asservita a un’idea, imposta da una volontà, intollerante di qualsiasi volontà diversa. Lo spirito, se è libero, crea un’economia varia, in cui coesistono proprietà privata e proprietà di gruppi, di corpi, di amministrazioni statali, coesistono classi di industriali, di commercianti, di agricoltori, di professionisti, di artisti, le une dalle altre diverse, tutte traenti da sorgenti proprie i mezzi materiali di vita». Questo pluralismo economico e professionale è la condicio sine qua non per una ricca fioritura di opinioni differenti, di stili di vita differenti, di idee differenti (politiche, sociali, culturali). Dal dibattito e dal confronto fra queste idee diverse si forma una opinione pubblica, la quale è determinante per decidere, attraverso libere elezioni, l’orientamento politico prevalente.

CONTRO IL MONOPOLIO
Inoltre, una società, per essere libera, non deve essere anchilosata e inceppata da posizioni di privilegio o di monopolio. Contro il monopolio Einaudi ha condotto una polemica instancabile: «Il primo canone è che il male sociale ha le sue origini nel monopolio; e che la lotta contro le ingiustizie e le disuguaglianze sociali ha nome di lotta contro il monopolio». Quando lo Stato pone limiti e vincoli al sorgere di nuove imprese; quando con dazi, favori ecc. fa sì che taluno dei produttori possa impedire ad altri di fargli concorrenza, allora nasce, oltre al profitto corrente, dovuto all’abilità, all’energia, alla creazione intraprendente, il profitto di monopolio. «Il profitto di monopolio è davvero il latrocinio commesso a danno della collettività; è davvero il nemico numero uno della economia libera, della economia progressiva. Primo canone dunque: lotta contro il monopolio».

 

Einaudi rifiutava infine di chiamare l’economia libera «economia capitalistica» (come avevano fatto Marx e la tradizione marxista). L’economia libera, l’economia progressiva, che ha come proprio motore la libera concorrenza, non è propriamente una economia capitalistica, per l’ottimo motivo che la figura centrale, il protagonista di tale economia, non è il “capitalista”, bensì l’imprenditore, l’inventore, l’organizzatore, il capitano di uomini e di strumenti. Capitalista è l’azionista, l’obbligazionista, il depositante presso banche e casse di risparmio. Ma quelli che trasformano il risparmio in capitale «sono gli imprenditori od organizzatori o inventori o capitani di banche, di società anonime, di imprese industriali, agricole e commerciali private. Questi tendono ad essere i veri dominatori del mondo moderno».

INDUSTRIALI E CAPITALISTI
Sono essi, infatti, che fondano le aziende (industriali, commerciali), che smerciano i prodotti delle aziende sui mercati, e cercano sempre nuovi mercati, e trasformano continuamente la produzione in funzione delle richieste dei mercati. I “capitalisti”, invece, sono meri percettori di utili, e sono completamente alla mercé degli imprenditori. Con ciò Einaudi non aveva fatto solo una necessaria e suggestiva precisazione terminologica, ma aveva dato tutti gli strumenti concettuali per la difesa e la promozione della società liberale.

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