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25 aprile, alla Festa della Liberazione le bandiere di chi sostenne Hitler

Francesco Specchia
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Liberate il giorno della Liberazione dall’idiozia dell’antisionismo e della foga del pregiudizio. Succede tutti gli anni: a Milano, durante la commemorazione del 25 aprile un branco d’idioti s’agita, impreca, issa cartelli antisionisti e sputa contro gli ultimi sopravvissuti della gloriosa Brigata Ebraica. Questo conglomerato stanco di menti mononeuronali appena sente la parola «ebreo» ha il riflesso pavloviano della lapidazione. Ma il prossimo 25 aprile saremo ad uno scatto evolutivo. C’è, infatti, una nuova sigla rivoluzionaria Students for Palestine (che cela, in realtà, gli anarchici di sempre) che, a Milano, preannuncia di appropriarsi del giorno di festa -che appartiene a tutti gli italiani- e di stravolgerlo a difesa di Gaza bombardata dal complotto demoplutogiudaico. Avvertono codesti studenti perla Palestina per mancanza di prove: «Studiare in Italia in questo momento significa prendere posizione. Non siamo più dispost* (notare l’asterico gender, oramai desueto dopo la bocciatura della Crusca, ndr) ad accettare la connivenza con cui le istituzioni ignorano il genocidio attualmente in atto nella striscia di Gaza. Non possiamo più tollerare di sorvolare l’argomento a lezione, di far finta che sia normale collaborare con atenei sorti su terre occupate illegalmente, di dover sottostare ad accordi illegali con istituzioni illegali e oppressive». Intolleranza in purezza.

IL BUSINESS DELLE ARMI
Dopodiché, i nostri intellettuali intolleranti, gramscianamente, imbastiscono un discorso confuso sulle evidenza del «business delle armi e dell’energia sono centrali nella comprensione di questo sodalizio vergognoso» tra ebrei e Eni. Che cosa, poi, gli ebrei, la questione palestinese, l’Eni e tutto il resto dell’opportunismo energetico c’azzecchino col 25 aprile e il patriottismo della Resistenza, be’, lo sanno solo gli déi. Ma non è questo il punto. Umberto Eco ci ha scritto saggiinteri (pubblicati da La Nave di Teseo) sulla paranoica del complotto e della costruzione a tavolino di un nemico da porgere alle generazioni a venire: si tratta di una modalità espressiva che spazia dall’idiozia all’autocrazia, e risulta un fenomeno urticante ma sociologicamente catalogabile. No. Il punto è un altro.

 

 

Nella suddetta, proclamata manifestazione di guerra (con la scusa di essere contro la guerra) contro i diavoli di Gerusalemme, gli ebrei di qualsiasi risma sono indicati dai filopalestinesi ad oltranza come “nazisti”; si insulta e si sputa, si ignora –nel migliore dei casi- il vero genocidio dei coloni ebrei del 7 ottobre; si evoca la bandiera d’Israele bruciata contro il «genocidio» che si perpetua di Gaza, paragonandolo all’Olocausto acceso da Adolf Hitler. Il che, oltre ad essere vergognoso nei confronti di chi ha davvero vissuto l’Olocausto, rivela un grossolano quanto spaventoso errore storico.
I veri alleati dei nazisti furono i palestinesi. Sgusciano da tutti i documentari dell’epoca, infatti, fotografie storiche di metà anni ’30 del secolo scordo in cui il gran Mufti di Gerusalemme Amin al-Husseini figura assorto in amabile conversazione col Führer; ne passa in rassegna l’esercito durante una visita ufficiale; sorride al suo accordo speciale col Terzo Reich. Un accordo che consisteva in un asse perfido e pericoloso. Ufficiale arabo dell’esercito ottomano, futuro padrino dell’Olp poi consegnata a Yasser Arafat, al Husseini era un alleato imprescindibile, una pedina da usare in chiave anti-britannica dall’Abwehr, i servizi segreti della Germania nazista impegnati a trovare ovunque nel mondo gli agenti scatenanti di rivolte interne.

Per «ovunque» s’intendono le pattuglie internazionali di irriducibili che avrebbero tenuto impegnati gli Alleati, fornendo risorse, materie prime e soprattutto informazioni d’intelligence a favore della Germania. Come i curdi e i nazionalisti in Iraq, i palestinesi si schierarono con le forze dell’Asse con la promessa dell'indipendenza da quei «protettorati» che incombevano sugli arabi dopo il tradimento ratificato dagli inglesi e dai francesi e, al tempo stesso, con la dissoluzione del progetto del Grande Stato arabo, caldeggiato dall’attivismo romanzesco di T.H Lawrence altrimenti detto Lawrence d’Arabia.

 

La geopolitica del terrore, insomma, aveva la Palestina nelle sue periferie. Sostenuto dal ministro degli Esteri nazista von Ribbentrop e dal capo delle SS Himmler, il Mufti cercava un’autorizzazione formale della Germania nazista- ma più essenzialmente il supporto logistico e forse economico accordato da Hitler e i suoi vertici militari- per procedere sotto il segno della svastica nel fomentare immediatamente ad una «rivolta araba», appunto, contro le potenze coloniali in Medio Oriente. La storia, ad onore del vero ricorda che poco peso il Mufti ebbe nell’Olocausto; né lo si può collegare alle persecuzioni naziste. Ma al-Husseini, cantore e simbolo della Palestina antisionista si contraddistinse proprio come una «pedina spesa male dall’intelligence tedesca prima, e nazista poi», affermano i libri di storia. Arrestato in Svizzera a fine conflitto, sfuggìal tribunale di Norimberga per crimini di guerra allestito dagli alleati, e soltanto grazie all’intercessione di De Gaulle. Ecco.

LA PEDINA DELLA STORIA
Vorremo far presente ai guerrafondai del pacifismo del prossimo 25 aprile che evocare il nazismo contro quella Palestina che storicamente col nazismo flirtò, be’ è l’azione più idiota e antistorica che si possa compiere. Vorremmo chieder loro: ci spiegate il perché di tutto questo? Ci spiegate questi continui, irrazionali gesti di distruzione? Ma -temiano- la loro risposta sarebbe monca e livorosa. Perché una risposta, in realtà, non la sanno articolare, si perdono negli slogan; e non trovano il sostegno storico al loro pregiudizio, se non nell’assioma terribile che ogni ebreo buono sia quello morto. Il livello dell’odio, oggi, è pericolosamente sopra il livello di guardia...

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