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Soumahoro, alla sbarra anche Rukundo: il fratellastro della moglie

Alessandro Gonzato
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Rinviati a giudizio moglie, suocera e due cognati dell’onorevole Aboubakar Soumahoro. Ci risiamo. Dopo il rinvio a giudizio per il filone sui presunti reati fiscali legati alla gestione delle cooperative “di famiglia” che si occupavano di migranti (il processo è iniziato a fine gennaio), ieri il giudice per l’udienza preliminare di Latina ha disposto un nuovo rinvio, stavolta per presunta frode in pubbliche forniture, bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, e autoriciclaggio, contestati a vario titolo a Liliane Murekatete (moglie di Soumahoro), Marie Therese Mukamitsindo (suocera dell’onorevole), Michael Rukundo (fratellastro di Liliane) e Aline Mutesi, sorella della consorte di Soumahoro. Stralciata, invece, la posizione del terzo cognato, Richard Mutangana, attualmente irreperibile. L’avvio di questo processo è stato fissato l’11 giugno.

La moglie e la suocera di Soumahoro sono già ai domiciliari da fine ottobre, a Latina. Rukundo è sottoposto a obbligo di dimora ad Alessandria. L’accusa, in questo secondo filone, è di aver sperperato oltre 2 milioni di soldi pubblici (2 milioni 170mila euro) che sarebbero dovuti servire all’accoglienza degli immigrati e al pagamento degli stipendi dei dipendenti delle coop, e che invece sarebbero stati spesi in viaggi, vacanze, in ristoranti e negozi di lusso, il tutto mentre- stando all’accusa - gli immigrati vivevano in locali fatiscenti, al freddo e con cibo scadente.

 

 

 

TUTTI CONTRO TUTTI
Ed è questa contestazione, sulle spese, ad aver fatto scattare distinguo e rimpalli di responsabilità: l’avvocato di Murekatete, Lorenzo Borrè, sostiene che «non si può dimostrare» che sia la moglie di Soumahoro «l’effettiva autrice e beneficiaria»; Borrè sottolinea anche che «per la parte fiscale» alla sua assistita «viene contestato un omesso controllo su una cifra limitata a 13mila euro». Murekatete sostiene inoltre di non aver avuto alcun ruolo particolare nella cooperativa Karibu (l’altra era il Consorzio Aid). La moglie di Soumahoro ha disconosciuto alcune sue firme su dei documenti: «La mia unica colpa», ha detto, «è di non aver vigliato sul corretto operato di mia madre».

Ecco, la madre, la quale afferma che «le spese per i centri estetici, per gli occhiali e per altri acquisti in alcuni negozi di Roma non sono riconducibili» a lei. E sempre Mukamitsindo, sulle presunte spese del figlio in Africa: «Mi sono accorta solo adesso dei bonifici», ha dichiarato a fine febbraio. «Karibu Ruanda», ha proseguito, «si occupava dell’internazionalizzazione del progetto Karibu Italia e non era un’agenzia di viaggi». Poi c’è Rukundo, il fratellastro di Soumahoro, che nonostante le accuse a suo carico ritiene di essere vittima della coop gestita dalla madre, tanto da aver chiesto di essere inserito tra i creditori della Karibu: ha reclamato 100mila euro (per l’esattezza 100.122). Richiesta che però il tribunale di Latina ha respinto. Ma Rukundo respinge le accuse: «Non ho mai speso soldi della Karibu per acquistare beni personali, e con mio fratello Richard non ho rapporti». 

 

Diciannove ex lavoratori della coop sono stati ammessi parte civile, assieme al sindacato Uiltucs (presente all’udienza il segretario Gianfranco Cartisano) e 7 comuni pontini. «Questi signori», ha tuonato l’avvocato del sindacato, Giulio Mastrobattista, «hanno gestito l’accoglienza con l’unica finalità di rubare i soldi della collettività». Torniamo ai presunti sperperi. Nell’elenco degli inquirenti, oltre a spese per alberghi, abiti e intimo, ci sono sfilze di ristoranti ed enoteche, in Italia e in Africa. Ad esempio al “Soul Wine and Liquor” di Kigali, in Ruanda (patria di suocera e consorte Soumahoro), l’11 luglio 2018 sono stati spesi 1.207 euro in due transazioni diverse: la prima da 801,31, la seconda da 405,86. In Ruanda 1.200 euro sono 6 mesi di stipendio. 

Nello stesso giorno, all’“Enoteca dell’orologio”, a Latina – dove risiedono moglie e suocera di Soumahoro – sono stati spesi 150 euro. Gli accusati, per i giudici, avrebbero messo in piedi «una struttura delinquenziale a livello familiare». Ieri, all’agenzia Agi, l’avvocato della Murekatete ha dichiarato: «Avevo chiesto al gup di disporre un’integrazione delle indagini per verificare se le firme indicate nei Cda siano riferibili a Murekatete, cosa che la mia assistita contesta, come di aver svolto attività in qualità di componente del Cda. Questioni che dovranno essere esaminate in dibattimento». La difesa non ha escluso di portare in aula Soumahoro (non indagato) «quantomeno per riferire di alcune contestazioni di cui è inevitabilmente a conoscenza».

RIVELAZIONI CHOC
In serata “Striscia la notizia” ha trasmesso un servizio in cui Pinuccio, l’inviato, ha raccolto la testimonianza di un’ex collaboratrice della coop: «Il proprietario aveva dato la struttura in affitto a un noto avvocato della zona, che a sua volta l’aveva subaffittata alla Karibu. In un’occasione mi disse di fare attenzione perché lì c’erano i mobili dei Casamonica. Io li ho visti. Lo stile era quello, colonne con sopra dei leoni. Dopo qualche giorno, con Liliane Murekatete», questa la versione del testimone, «siamo scese nel sotterraneo e anche quella volta l’avvocato disse di fronte a lei che quel materiale (il pellet, ndr) non poteva essere stipato lì così, accanto ai mobili dei Casamonica, perché infiammabile. 

Sapete che i Casamonica ci tengono a queste cose”, disse l’avvocato davanti alla moglie di Aboubakar». L’ex collaboratrice della Karibu ha riferito al tg satirico anche che Murekatete si presentava con vestiti firmati, mentre loro non sapevano come arrivare a fine mese. E ha aggiunto: «La malavita tirava dentro anche i ragazzi, perché coi soldi che arrivavano dai rimborsi non potevano vivere. O vivevi di elemosina o di spaccio». Quando la collaboratrice avrebbe provato a denunciare l’accaduto, le sarebbe stato proposto di iscriversi al sindacato di Soumahoro. Affermazioni pesanti. Attendiamo l’eventuale replica.

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