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La politica deve lavorare per ridare spazio al ceto medio

Roberto Formigoni

Roberto Formigoni
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Il ceto medio ha paura. Paura di impoverirsi, innanzitutto, e anche di retrocedere nella scala sociale. Ha paura per i propri figli: il 76% degli italiani ritiene che le generazioni future staranno peggio di quelle attuali. Sono idee radicate nella pancia sociale dell’Italia, condivise in pieno dalla maggioranza di persone che si sente parte del ceto medio. Non esiste una definizione scientifica di ceto medio, ma possiamo dire che per una lunga fase della nostra storia sentirsi di ceto medio aveva significato condividere aspirazioni di miglioramento economico e di status sociale, e una potente volontà soggettiva di investimento nel lavoro, nella professione e nello studio, nella certezza che un’economia e una società in sviluppo avrebbero premiato talento, impegno e buoni risultati. Il ceto medio è stato il principale protagonista del miracolo economico italiano degli anni ‘60, e quello che ne ha prolungato in parte gli effetti nei decenni successivi.

Oggi cosa è rimasto del ceto medio e del senso di appartenenza della classe media del Paese? I dati parlano chiaro, e confermano il senso di frustrazione attuale: il Pil italiano (cioè il misuratore della ricchezza) è aumentato di oltre il 40% tra il 1970 e il 1980, del 25% nel decennio successivo, per poi proseguire in un lento declino, il 18% negli anni Novanta fino a crollare al 3,5% negli ultimi quattro anni. Questo fenomeno non riguarda solo l’Italia ma in genere tutti i Paesi più avanzati, compresi gli Usa e la gran parte dei paesi Ue.

Globalizzazione e cambiamenti tecnologici sono le principali cause, avendo spostato l’asse della creazione di ricchezza verso i nuovi paesi emergenti. Diminuzione di reddito percepito dalle famiglie, dunque, a cui si è aggiunta in questi ultimi anni un’inflazione sempre più corrosiva. Gli stipendi non salgono, i prezzi sì, i consumi familiari si contraggono, le speranze per un futuro migliore si assottigliano e poi scompaiono. E subentra la paura.

Sul fronte dei consumi l’Italia è l’unica, tra Francia Germania e Spagna, con una spesa per consumi inferiore al 2007, l’anno di inizio della tremenda crisi economica, e soprattutto gli odierni salari medi reali per dipendente sono ancora oggi più bassi rispetto al 2000. È impossibile dunque ogni speranza? No, non bisogna mai rassegnarsi alla mancanza di speranza.

Anzitutto perchè ci sono anche segnali positivi, ne ho parlato settimana scorsa. Poi perche l’Italia è sempre stata ricca di talenti e di inventiva, la maggioranza dei giovani non sta sul divano, come ci vogliono far credere, ma ha voglia di impegnarsi e di costruire il futuro. Ognuno di noi può e deve dare il suo contributo.

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