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Giorgia Meloni e l'Europa, i giornali di sinistra in testacoda

Daniele Capezzone
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«Aristotele, scansati», scrivevamo ironicamente qualche giorno fa, alludendo alla scarsa dimestichezza degli eurolirici – avvolti nel bandierone europeo – con la logica in generale e con il principio di non contraddizione in particolare.

E così ieri, sui media anti-meloniani, abbiamo assistito a due clamorosi testacoda nel commentare la cena informale dei capi di stato e di governo europei avvenuta a Bruxelles l’altra sera. Il primo testacoda era tutto interno alle due corazzate del gruppo Gedi, cioè Stampa e Repubblica. Titolo del quotidiano torinese: «Ursula bis, la sfida di Meloni». Titolo del quotidiano romano: «Ue, la ritirata di Meloni». La domanda sorge spontanea: come fa una leader a lanciare una sfida e contemporaneamente a ritirarsi?

Può fare una cosa oppure l’altra: ma non tutte e due insieme. Anche un bambino capisce bene che presentare la Meloni (versione uno) come il bullo del quartiere che minaccia Ppe-Pse-macronisti, ma anche (versione due) come un primo ministro costretto a un umiliante ripiegamento dai tre partiti della vecchia maggioranza è una contraddizione insanabile. Equi scatta –anche aldilà di Stampa e Repubblica – il secondo grande testacoda evidenziato dalle corrispondenze anti-meloniane provenienti da Bruxelles. Quello che potremmo chiamare l’Inviato Unico, il Corrispondente Collettivo, per un verso si compiaceva di una eventuale esclusione di Fdi e dei conservatori di Ecr dalla nuova ipotetica maggioranza: e allora ecco un profluvio di cronache e retroscena su una Meloni nervosa, marginalizzata, ritenuta numericamente superflua – secondo questa lettura – dai negoziatori popolari, socialisti e macronisti. Per altro verso, però, una volta registrata questa presunta marginalizzazione politica, l’Inviato Unico è stato costretto a raccontare ai suoi lettori che le tre vecchie forze non sono riuscite a trovare un’intesa nemmeno al proprio interno su assetti e organigrammi.

 

 

 

Questione di nomi e poltrone, certo. Ma anche di numeri: andare al voto parlamentare di conferma del presidente della nuova Commissione potendo contare solo su una quarantina di voti di margine significa esporsi fatalmente al cecchinaggio dei franchi tiratori. Come Libero ha ricordato in epoca non sospetta (già prima del voto dell’8-9 giugno), cinque anni fa la von der Leyen poteva teoricamente contare su un margine rassicurante: e invece se la cavò per il rotto della cuffia (appena 9 voti) e solo grazie al salvataggio della stampella grillina. E per di più, al di là dei numeri, c’è una questione politica gigantesca che questo giornale pone dalla sera del voto europeo: pensare di ignorare la svolta impressa dagli elettori italiani, tedeschi e francesi sarebbe pura follia da parte dei mandarini franco-tedeschi. Sarebbe la botta definitiva alla già barcollante credibilità dell’edificio europeo.

Eccola qui, allora, la contraddizione più grande dei nemici mediatici della Meloni: sono frettolosi (e scarsamente credibili) nel proclamarne la presunta marginalizzazione, ma appaiono già pesantemente depressi nel constatare come i loro eroi (Ppe-Pse-macronisti) siano fermi al palo.

 

 

La verità è molto probabilmente tutt’altra: tra Parigi, Berlino e Bruxelles – ottusamente – c’è il fortissimo desiderio di escludere le forze di destra dalla cabina di comando della nuova legislatura. Ma anche da quelle parti le teste più lucide e pensanti conoscono bene i rischi – numerici e politici– legati a una scelta del genere. Dunque la trattativa è apertissima, così come l’esito della partita.
E chi, diversamente da molti quotidiani italiani, non è animato da pregiudizi e faziosità condominiali, tende invece a riconoscere come la posizione ferma di Meloni sia assai rilevante.

Lasciamo la parola a Politico Europe, edizione bruxellese della nota testata americana: «Un’altra ragione per la quale i colloqui sono falliti è stato il fatto che il primo ministro italiano Giorgia Meloni fosse insoddisfatta di come la serata si svolgeva, dicono diversi diplomatici Ue. Meloni, uno dei pochi leader usciti dal voto europeo con una vittoria elettorale, era seccata dai tentativi di altri leader Ue di tenerla fuori dal negoziato. “Il primo ministro italiano ha contestato il tipo di approccio alla discussione”, ha riferito un funzionario informato sulla discussione. “È partita dalla considerazione che l’incontro informale doveva rappresentare un momento in cui discutere cosa fare alla luce dei segnali provenienti dalla elezioni, e poi, da quel punto di partenza, iniziare la discussione sui nomi per gli incarichi di vertice, non viceversa”». Così Politico Europe: né sfida né ritirata, come si vede, quindi nessuna delle due fiction sceneggiate da Stampa e Repubblica. Ma una Meloni razionale, centrale nel dibattito pur in un match assai difficile, determinata a richiamare i suoi colleghi a non ignorare il voto popolare e a trarne le conseguenze più opportune. La partita è appena cominciata.

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