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Vincenzo De Luca, il "cacicco" si è trasformato nel miglior alleato della Schlein

Francesco Storace
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La clava del referendum sull’autonomia differenziata per piegare un partito che pure la invocava con le sue amministrazioni. Elly Schlein usa la riforma del centrodestra per comandare a sinistra in una pochade che non c’entra nulla col merito della questione. «Fate come dico io. Punto e basta». E pare che la segretaria ci stia riuscendo, perché con una mossa dopo l’altra ha rimesso in naftalina il programma elettorale progressista - dell’ormai lontano 1994 - in cui Achille Occhetto inserì il federalismo per battere la coalizione che poggiava sulla Lega al nord. Allora andava bene, oggi non più. Il problema non riguarda, però, solo il passato remoto della sinistra.

Ma in tempi molto più recenti, la Schlein ha conquistato alla causa centralista il governatore emiliano Stefano Bonaccini, che pure era stato tra i primi fieri richiedenti dell’autonomia, col veneto Zaia e il lombardo Fontana. L’elezione al Parlamento europeo ha rotto l’incantesimo e anche il presidente dell’Emilia si è piegato al diktat del Nazareno. Chissà che cosa avrebbe invece fatto se fosse stato eletto segretario al congresso del Pd al posto della nuova arrivata. Ma il caso più clamoroso è quello del governatore campano, Vincenzo De Luca. Improvvisamente, pure lui, tra gli alfieri di Schlein.

I due non si sopportano (o non si sopportavano) e si vede. ‘O sceriffo ha pure scritto un libro “Nonostante il Pd”, che già dal titolo non mostra particolare affetto verso la nomenclatura. Dal canto suo, per la Schlein è (o era?) lui uno dei cacicchi da far fuori, altro che terzo mandato come presidente della regione. Ebbene, sull’altare dell’autonomia differenziata - e poi lo faranno sul premierato - ecco l’alleanza tra indigesti. Sembra di stare in Francia dove si uniscono quelli che si odiano per battere il nemico a destra.

 

 

 

Eppure, non si possono raccontare balle ai cittadini. Passi pure per la Schlein, che era comunque vicepresidente di Bonaccini quando questi era fervente fautore dell’autonomia; ma De Luca non dovrebbe proprio parlare del tema. Fu lui a sottoscrivere - anno di grazia 2019 - l’analoga richiesta per la sua regione al governo dell’epoca, il secondo di Conte, quello giallorosso. E ora pretende di imbastirci sopra il referendum, con tanto di seduta straordinaria del consiglio regionale campano per dare il via alla procedura che prevede la richiesta di cinque regioni. La sua sarebbe la prima. Poi, in fila, toccherebbe a Emilia (nonostante la fuga di Bonaccini in Europa), Puglia, Toscana e Sardegna, ultima arrivata nel fronte rosso.

Ma appare oggettivamente indecente il posizionamento di De Luca. Anche a rischio di un autogol clamoroso. Perché oggi nessuno può affermare con certezza che il referendum ci sarà - ci sono questioni tecnico-costituzionale che potrebbero bloccarlo alla consulta - e per questo ricorrono alle regioni: più pericolosa, rischiosa e faticosa la strada delle cinquecentomila firma popolari da raccogliere per abrogare la legge Calderoli. Ma anche se si esaurisse positivamente questo passaggio, il tema sarebbe rappresentato dal quorum. In un Paese che stenta a fidarsi della politica al punto da disertare in massa ogni turno elettorale, sarà facile scommettere sul fallimento della prova referendaria.

Ma in piedi resterebbe comunque la prova d’amore offerta da De Luca alla Schlein con l’impegno istituzionale con qualche sbrego formale- del governatore a favore del diktat della leader del Pd. Insomma, è così che a sinistra si regolano i conti. Nulla è concesso alla coerenza politica e impossibile rimane la coltivazione di spazi di autentica autonomia anche nell’azione amministrativa, bisogna solo obbedire a chi comanda. Gli stessi livelli essenziali di prestazione (Lep) diventano un alibi per chi avversa (per convenienza e non per convinzione) la riforma: è scritto a chiare lettere che dovranno essere finanziate le materie trasferite dallo Stato al territorio. E a questo proposito c’è la domanda delle domande: perché De Luca - e altri come lui - vogliono rinunciare ai poteri che andrebbero proprio dallo Stato alla sua regione come alle altre, senza toccare nulla degli altri territori? Tutto questo solo nel nome della supplica per il terzo mandato?

 

 

 

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