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La sinistra e i migranti: usati e poi abbandonati

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Luca Beatrice
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Mentre la Cgil si muoveva in testa alla manifestazione del 6 luglio contro il caporalato, per ricordare quel poveraccio, bracciante indiano, morto in maniera barbara a Latina, ucciso dallo sfruttamento e dalla crudeltà, in un’altra zona d’Italia, le Langhe piemontesi, sono stati arrestati tre individui responsabili di pestaggi e violenze insensate contro lavoratori extracomunitari sottopagati, costretti a vivere in condizioni indecorose, cui veniva sottratta dalla paga miseranda la cifra del cosiddetto “alloggio”. La polizia ha trovato diciannove persone ammassate in un luogo privo di servizi igienici, sorvegliato da telecamere e tanti soldi in contanti nascosti alla meno peggio. Diversi elementi stridono rispetto a quanto accaduto nel basso Lazio. I caporali fermati nelle Langhe e accusati di violenze ripetute, documentate da un video, sono rispettivamente un marocchino, un macedone e un albanese, a loro toccava il compito di far rispettare regole disumane e chi provava a ribellarsi erano botte. Gli extracomunitari erano “impiegati” nelle vigne per la produzione di vino molto chic, fiore all’occhiello dell’enogastronomia piemontese, moscato, barbera, nebbiolo e barolo, bottiglie che possono essere molto costose e su cui il ricarico è altissimo in termini di guadagno.

Niente a che vedere con gli edulcorati spot promossi da aziende etiche, che esaltano concetti quali la filiera corta, il vino biologico, il prodotto naturale. Anche nelle Langhe doc si consumano misfatti di inusitata crudeltà e questa notizia è scivolata via rapidamente rispetto a quanto accaduto a Latina, certo più grave perché ci è scappato il morto, una città da sempre iscritta alla destra fin dai tempi della bonifica pontina voluta dal Duce (Antonio Pennacchi ci scrisse un romanzo bellissimo) e per via dell’architettura razional-propagandista, peraltro bellissima. In un’Italia, insomma, dove si respirano ancora le vestigia del fascismo, caricare una vicenda di immensa tristezza in un problema di natura politica diventa un attimo, proprio perché siamo lì. Vallo a spiegare che il governo non c’entra nulla, che la piaga dello sfruttamento sul lavoro ha radici orrende che andrebbero estirpate senza sconti per nessuno: Latina ha tradizione nera; quindi, per non sbagliare si fa una manifestazione sindacale con le bandiere rosse.

 

 

 

La questione delle Langhe suona assai diversa e ben più imbarazzante, e lo ha sottolineato anche Massimo Gramellini nel “Caffè” in prima ieri sul Corriere. “Il tempo dell’ipocrisia è definitivamente scaduto -scrive, e più avanti- quelle scene immonde, che speravamo relegate a secoli lontani della nostra storia, interrogano anche i formatori dell’opinione pubblica, in particolare gli ambienti di sinistra giustamente sensibili al destino dei migranti, ma solo finché rischiano la pelle in mare. Appena toccano terra, su quei disgraziati cala il sipario del disinteresse. Chi ha urlato a squarciagola per strapparli alla morte li consegna in silenzio a una vita di sopraffazioni e stenti”.

Facile immaginare l’imbarazzo dei miei corregionali di fronte a questa storia barbara, proprio il Piemonte (di sinistra e non solo) che ha puntato sull’enogastronomia come marchio di qualità, applicazione perfetta della “welness”, perché mangiare e bere bene è cultura progressista, e invece dietro si celano storie orrende di sfruttamento, proprio come nella destrorsa Latina dove ai braccianti non si lega una politica di educazione alimentare. Oltre alla considerazione sul classico metodo “due pesi due misure” (quanto ha pesato il caporalato nell’astigiano? Ben poco, in termini di comunicazione) il punto sta proprio qua: basta farli sbarcare, poi si abbandonano al loro triste destino e nessuno se ne occupa più. Fanno film da oscar sui viaggi, sulle migrazioni trasformate in avventure omeriche, reclamano il diritto di arrivare sulle coste, forzano e non rispettano le leggi travestendole da operazioni politiche, ci scrivono su libri brutti, lacrimevoli e tutti uguali, chiunque voglia aspirare al ruolo di autore impegnato punta sul tema, gettonatissimo, dei migranti. A destinazione non interessano più, dunque fatti loro come riusciranno a sopravvivere, a sbarcare il lunario, pazienza se delinqueranno, anzi meglio non sottolinearlo troppo sennò si viene tacciati di razzismo.

Dopo la traversata il migrante torna a essere massa senza identità, sfruttato e sfruttatore, delinquente e vittima, i media hanno altro a cui pensare, sbarchi da monitorare, scene di porto da riprendere in tv, politicanti a dir la loro. Gli altri, invece, sono persone invisibili, abbandonate al proprio destino, un destino che non fa audience, a meno che il povero disgraziato non capiti proprio a Latina, la città che fu Littoria, e allora la vittima Satnman Singh diventa suo malgrado un simbolo, i perseguitati delle Langhe una notizia imbarazzante da far scivolare presto in basso.

 

 

 

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