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Andrea Orlando, il candidato Pd che non piace alla Schlein

Pietro Senaldi
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Erano tutti in piazza De Ferrari, il 18 luglio, a chiedere le dimissioni di Giovanni Toti, «perché i liguri non meritano di restare ostaggio di un presidente agli arresti domiciliari e la resistenza del governatore paralizza la Regione». Questo era lo slogan, ripetuto negli interventi di Elly Schlein, Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, i capi del campo largo al netto di Matteo Renzi, assente, e allora come oggi sul ciglio della porta, in attesa di essere ammesso, tanto nella partita ligure quanto in quella nazionale. In piazza c’era anche Andrea Orlando, già candidato in pectore dell’alleanza anti-destre. Tutto si sarebbe aspettati, l’ex pluriministro e plurincaricato, tranne che a fine agosto, a meno di due mesi dal voto, la situazione non fosse mutata e lui fosse ancora un candidato ufficioso.

Ma come, tanta fretta di votare e poi una flemma irritante nel sciogliere le riserve sul suo nome? Prima lo spingono al passo in avanti, spiegandogli che è l’unico che può vincere, e poi la segreteria Pd non gli dà l’imprimatur, e lascia perfino che il M5S avanzi una candidatura alternativa, il senatore genovese Luca Pirondini, maestro di viola che, anziché una serenata, gli sta suonando un requiem? Orlando non ci sta. L’omonimo dell’eroe delle canzoni di Ludovico Ariosto si sente canzonato dai suoi, tanto furioso quanto innamorato non corrisposto.

 

 

 

IL SOSPETTO

Sconcertato quanto il candidato in cerca di candidatura è tutto il Pd ligure, retto da Davide Natale, anche lui di La Spezia come l’ex ministro, con il quale è in sintonia. La situazione sta diventando talmente vischiosa che i circoli dem della Liguria meditano di consegnare a Schlein una lettera per chiederle di prendere una posizione ufficiale e definitiva. Nessuno si capacita del fatto che la segretaria abbia trovato l’intesa sui candidati della sinistra in Emilia-Romagna (Michele De Pascale, sindaco dem di Ravenna) e Umbria (Stefania Proietti, sindaca civica di Assisi) prima di eclissarsi per le ferie e stia invece lasciando da un mese a bagnomaria Orlando, malgrado in Liguria si voti prima che altrove, il 26 e 27 ottobre.

La stranezza alimenta sospetti. Quello più innocente è che Igor Taruffi e Davide Baruffi, i due responsabili onomatopeici della (dis)organizzazione dem, da emiliani, si siano preoccupati soprattutto di risolvere i problemi in casa, trattando la Liguria come una questione secondaria. Il sospetto che più rode invece è che Schlein non voglia Orlando, che al massimo lo sopporti ma certo non lo supporti. La segretaria, teme qualcuno nel partito, avrebbe lasciato trascorrere il tempo non per sciatteria ma per calcolo, nella speranza che venisse fuori qualche altro nome e nella consapevolezza che rimandare la decisione logora il candidato.

È così che infatti si sente l’ex ministro, mezzo bruciato prima ancora di partire, ed è per questo che nelle ultime ore ha paventato il passo indietro, facendo trapelare che per lui «è giusto che la coalizione valuti scelte diverse», come quella di Pirondini. È una sfida a Schlein, che oggi riapparirà in pubblico, due volte, alla Festa dell’Unità di Abbadia San Salvatore, a Siena, e a quella di Campiglia Marittima, nel Livornese.

 

 

 

L’INCOGNITA M5S

Sarebbe clamoroso se la segretaria non sostenesse ufficialmente Orlando oggi, costringendolo, domani e sabato, a intervenire prima all’importantissima Festa dell’Unità di Bologna e poi a quella di Sant’Olcese, nella sua Liguria, senza avere ancora certezze sul proprio futuro. Il guaio però è che la situazione è arrivata a un tale livello d’impasse che non è semplice sbrigliare la matassa in un giorno, anche se fonti grilline fanno ufficialmente sapere che l’accordo programmatico è vicino, Orlando e Pirondini si sono sentiti e «ci si sosterrà a vicenda, chiunque sia il candidato».

In realtà, fino a ieri sera la versione ufficiosa era che ancora molti discorsi devono tenersi tra M5S e Pd prima di ufficializzare una candidatura, che alla fine sarà probabilmente quella di Orlando, ma spompato. I grillini, consci di avere un elettorato anti-sistema, temono di pagare nell’urna lo scotto di sostenere tre nomi presentati dal Pd su tre Regioni che vanno al voto e la Liguria è rimasta l’unica occasione per loro di puntare i piedi. A peggiorare il quadro c’è poi il fatto che siamo nella terra di Beppe Grillo, i cui rapporti sono ai minimi storici con Giuseppe Conte e che una lista capitanata da un transfugo pentastellato, che alle ultime Comunali di Genova ha preso il 3,6% dei consensi, ha appena candidato alla presidenza della Regione Nicola Morra, ex parlamentare del M5S, cacciato dal partito perché non votò la fiducia a Mario Draghi.

Nessuno ha ancora contattato poi i renziani, che non sono disposti a sostenere Pirondini e ancora sostengono la giunta di Marco Bucci a Genova, senza dare i segnali (ritirare l’assessore e staccarsi dalla lista del sindaco in consiglio comunale) che i grillini hanno chiesto per ammetterli nel campo largo ligure.

 

DELITTO PERFETTO

Lo spettacolo della sinistra sta consolidando nel centrodestra la speranza di potersi riconfermare alla guida della Regione, dando un grande smacco alla Procura e ai piazzaioli che chiedevano le dimissioni di Toti. Il Pd ligure non si capacita che la segretaria rischi di sprecare l’occasione di riportare un proprio esponente a Palazzo della Nazione dopo nove anni. E qui c’è il terzo sospetto sinistro: che per la segretaria, perdere non sia poi un dramma.

In diciotto mesi Schlein si è presa un partito che in media consuma un capo ogni due anni e la sensazione è che la signora possa durare fino a fine legislatura, per arrivare a sfidare Meloni per Palazzo Chigi. Finora, all’interno del partito non ha sbagliato una mossa, riuscendo a neutralizzare tutte le anime mestatrici in servizio permanente che avvelenano la ditta. Prima ha vinto a sorpresa le Primarie, battendo gli iscritti e le loro consorterie. Poi si è impadronita della dirigenza, relegando i vecchi plenipotenziari a ruoli ancillari. Quindi ha bastonato ma trovato un accordo con i cosiddetti cacicchi, i padroni delle Regioni Meridionali. Infine ha esiliato in Europa le personalità dem più popolari ma non a lei riferibili, quali Giorgio Gori, Stefano Bonaccini e Antonio Decaro, schierandole e facendosi poi forte dei voti che questi hanno portato al Pd, e quindi a lei, che pure ha ottenuto meno preferenze dei suddetti.

Le resta di fare le ultime pulizie di casa. Anche per Andrea Orlando era pronta una candidatura a Bruxelles, ma l’ex ministro non ha voluto mettersi in gioco, forse spaventato dalla concorrenza, che andava da Cecilia Strada ad Alessandro Zan, da Irene Tinagli a Pier Francesco Maran, e ha fatto sapere che si teneva libero per le Regionali. Ora o le vince o si indebolisce alquanto, ma di questo Schlein, eventuali smentite a parte, non pare darsi pena.

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