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Nicola Zingaretti perde la testa sul Monte del Tempio: le accuse a Israele

Marco Patricelli
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Quando il presidente turco Recep Tayyip Erdogan nel luglio 2020 firmò il decreto di conversione della Basilica di Santa Sofia di Istanbul in una moschea, solo la Grecia aveva fatto udire preliminarmente una ferma voce di disappunto per la desacralizzazione/risacralizzazione di un patrimonio Unesco che veniva dall’imperatore Giustiniano, perché a maggio un imam aveva letto versetti del Corano anticipando la svolta islamista. Il sultano di Ankara replicò a brutto muso ad Atene, secondo collaudato costume, e fece quel che voleva fare senza chiedere il permesso a nessuno. L’Occidente poi accusò il colpo in un amen e archiviò.

Il premier israeliano Benjanmin Netanyahu scioglie oggi la riserva sullo status quo del Monte del Tempio nella Gerusalemme delle tre religioni monoteiste, ma intanto si prende accuse e insulti che fanno tanto radicalchic dal capodelegazione Pd al Parlamento europeo, Nicola Zingaretti, che con raffinata diplomazia lo taccia di «atto criminale» e tanto per dimostrare lucidità e avvedutezza di giudizio pure di essere «un fanatico irresponsabile che scientemente vuole distruggere ogni speranza di tregua umiliando la democrazia israeliana e danneggiando la sicurezza nazionale dello Stato».

IL SOLITO CATTIVONE
Lo statista de noantri ha capito tutto quello che fa arrovellare il mondo a caccia da decenni di una soluzione accettabile per la pace: a distruggere ogni speranza di tregua nella Striscia di Gaza mica è il mancato rilascio degli ostaggi razziati dai tagliagole di Hamas quasi un anno fa, e a portare all’incandescenza i venti di guerra non sono mica i missili sparacchiati a raffica ma con delicatezza dai galantuomini di Hezbollah dal Libano; macché, è il solito cattivone di Netanyahu, che non sarà e non è un mostro di simpatia o di equilibrio o di lungimiranza politica, ma in una situazione allucinante come quella, sarebbe interessante vedere all’opera i nostrani sepolcri imbiancati.

Il paradosso, almeno in questo caso, è che il premier finora è stato il garante dello status quo di equilibrio per l’accesso di fedeli ebrei, cristiani e musulmani a un luogo che è considerato sacro da tutti e non è esclusiva di nessuno, con il potere laico dello Stato di Israele che ne deve disciplinare la fruizione in un equilibrio dinamico sottoposto a continue tensioni e frizioni. Gerusalemme sarà pure città santa, ma di santità nelle azioni delle dottrine religiose se ne ravvede assai poca all’atto pratico, da qualunque parte. Itmar Ben-Gvir, leader dell’estrema destra Otzma e ministro della Sicurezza, con discutibile scelta di tempismo e di opportunità derivante dalla sua riconosciuta non-moderazione, ha dichiarato più volte e con un certo compiacimento che adesso la preghiera ebraica è consentita nel luogo sacro più importante di Gerusalemme, che per i fedeli musulmani è la Spianata delle Moschee. Lì dove i romani di Tito nel 70 d.C. spianarono il Tempio ebraico edificato per la prima volta nel X secolo a.C. Poiché rimasero i frammenti di muro, gli ebrei svolgono le loro cerimonie all’esterno della spianata, appunto lungo il Muro del pianto. Gli islamici venerano il luogo perché da lì il profeta Maometto venne assunto in cielo. I cristiani, invece, perché Gesù vi si recò più volte e vi tenne le dispute teologiche con i sacerdoti.

 

 

 

LE DIECI ENTRATE
Spostando la prospettiva fideistica c’è sempre qualcosa di più da rivendicare e qualcosa di meno da concedere. Rincorrendo la storia a ritroso, peraltro, tutto è più o meno opinabile, a partire dalla rivendicazione di esclusività che lo è del tutto. Comunque sia, delle undici entrate che consentono l’accesso alla Spianata, dieci sono solo per i musulmani. Lo Stato di Israele controlla l’ex Gerusalemme est dal 1967, e la gestione del luogo sacro avviene in base a un accordo con la Giordania. Inutile sottolineare che il fine ultimo è la preghiera, ovvero il gesto che avvicina a Dio, quindi con l’animo disposto alla comprensione, al perdono e all’indulgenza. Quello che divide, però, è più di quello che unisce. Lo status quo viene adesso messo in forse, e una forzatura non potrà che avere ripercussioni proprio lì dove meno si avverte la necessità di acuire le contrapposizioni che non sono solo religiose, ma anche religiose.

 

 

 

ESTREMISMI CORROSIVI

L’allerta è già avvertita dalla società israeliana che teme un’intensificazione degli attacchi missilistici, ma va avvertito anche Zingaretti che il Monte del Tempio non è l’ultimo baluardo della convivenza delle religioni monoteiste, ma piuttosto l’esemplificazione del coacervo mediorientale sottoposto da sempre alla continua corrosione operata dagli estremismi, che non trova un punto di incontro neppure negli sbandierati principi di pace, convivenza e tolleranza.

L’islam ha potuto costruire una moschea nella culla della cristianità, a Roma, mancando una qualsiasi controprova di vicendevolezza nel mondo arabo e non solo. Erdogan non molto tempo fa ha spazzato via Giustiniano, Costantinopoli e un millennio di storia cristiana senza dover rendere conto a nessuno dell’atto di forza sulla basilica. Non si ricordano toni duri del Pd, allora, forse sempre preoccupato delle altrui sensibilità da intendere con quelle molto lontane dall’idem sentire della Penisola, sempre con la ricetta pronta fatta in casa a risolvere i problemi del mondo. Sulla basilica di Santa Sofia (che sta per pazienza di Dio) i greci eccepirono la «violazione dello status di patrimonio dell’umanità», la sinistra all’amatriciana neanche quella. Netanyahu è avvisato, ma neanche mezzo salvato.

 

 

 

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