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Dazio, cosa significa davvero la "parola della settimana"

Dal latino "datio" alle misure di Donald Trump: non tutto è come sembra
di Massimo Arcangeli lunedì 7 aprile 2025

2' di lettura

Dazio è un discendente del latino datio, un derivato di genere femminile del verbo dare indicante l’atto di rimettere, consegnare, trasmettere qualcosa o, con valore più specifico (e tecnico), la facoltà di poter disporre giuridicamente dei propri beni (diritto di alienazione). Il termine ha mutato genere nel passaggio all’italiano per una comprensibile ragione, il rimodellamento sui nomi maschili in -o. Già nel latino d’epoca medievale quel femminile era divenuto un neutro (dacium, 1208, o datium).

«Servius Tulius (...) fu il primo che mettesse imposte o dazi, overo censo, nella città di Roma a pagare; alla fine l’uccise Tarquinus Superbus che era suo genero» (Giovanni Villani, Nuova Cronica, I, XXVIII). Qui la parola è già adoperata nel significato corrente di “imposta”, più esattamente in quanto «stabilita da un ente pubblico territoriale (come lo Stato o il Comune) sulle merci che entrano nel territorio dell’ente stesso (dazio d’entrata o d’importazione) o anche su quelle che ne escono (dazio d’esportazione)» (Grande dizionario della lingua italiana, fondato da Salvatore Battaglia, diretto da Giorgio Bàrberi Squarotti, Torino, UTET, 1961-2002, 21 voll., IV, s. v. dazio).

Un’altra distinzione importante è tra i dazi esterni (o doganali), che ricadono sulle merci importate in uno Stato nazionale o da questo esportate, e i dazi interni, applicati alle merci in entrata o in uscita con riferimento a un territorio compreso all’interno di una compagine statale, più precisamente a una circoscrizione amministrativa (comunale, provinciale, regionale, ecc.), e aboliti nel nostro paese durante il Ventennio (1930) per essere sostituiti dalle imposte di consumo versate ai Comuni.

Una differenza di rilievo si può infine istituire, nell’ambito della categoria dei dazi esterni, fra i dazi fiscali, la cui funzione è di assicurare al fisco entrate di un’entità non troppo elevata, per non sfavorire le importazioni dall’estero, e i più alti dazi protettivi a tutela della propria produzione, onde scoraggiare la concorrenza straniera, in specie per determinati prodotti e rami industriali, e così incentivare la domanda di merci indigene.

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