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Silvia Salis, il vero piano: vuole far fuori Elly Schlein

L’ex atleta azzurra si è insediata a Genova, ma nelle interviste mostra di pensare a un possibile ruolo nazionale. È la conferma che a preoccuparsi di più deve essere il Pd
di Pietro Senaldi sabato 31 maggio 2025

4' di lettura

Silvia Salis ci sta prendendo gusto. Ha già gettato il martello oltre l’ostacolo. Si è insediata a Palazzo Tursi, sede del Comune di Genova, ieri alle 10 del mattino ma prima aveva già rilasciato tre interviste per giurare che «è prematuro parlare di un mio ruolo nazionale, perché ho davanti un mandato di cinque anni, anche di più se le cose andranno bene».

Una banalità che non meriterebbe neppure di essere precisata, proprio per questo il fatto che sia di continuo ripetuta ostentatamente mette in sospetto. Nell’astrusa logica della politica italiana, il non candidarsi è il solo modo per farsi cooptare. E poi c’è questo fatto, anch’esso ribadito con la massima frequenza dall’interessata, che «la mia vittoria di tutto il centrosinistra unito è una buona notizia per la coalizione».

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PRIMI MUGUGNI
All’indomani del voto genovese, Libero aveva scritto che l’esito delle urne era un colpo di martello (Salis eccelleva nella disciplina olimpica del lancio dell’attrezzo) sulla testa di Elly Schlein, che pure rideva incessante a settantaquattro denti, piuttosto che del centrodestra. Le prime mosse della sindaca sembrano darci ragione. Tra i dem liguri non siamo ancora allo sconcerto ma a qualche perplessità sì. Il Pd in città ha preso il 30% dei voti, contro l’8,8% della lista civica dell’ex atleta, il 7,7% di Alleanza Verdi Sinistra, il 5% dei grillini e il 2% della lista dei moderati, quella che metteva insieme calendiani e renziani, una miseria ma sufficiente per non far andare la candidata al ballottaggio.

Ebbene, pare che Salis nella settimana trascorsa si sia dedicata a un’altra specialità: lo slalom. Il Pd chiama, lei abbozza, sfugge. Quando rilascia interviste, la signora fa la parte di quella che ha vinto da sola, incurante del fatto che i dem le hanno portato quasi il 60% dei consensi che ha raccolto. Si comporta come se in città ci fosse solo lei. «Siamo in pieno leaderismo renziano», mugugnano gli esponenti dem, ricordando che la bionda signora è nata politicamente alla Leopolda.

Qualche mal di pancia lo suscita anche il marito, il noto regista Fausto Brizzi, un uomo che non fa il passo indietro davanti ai successi della compagna, preferisce suggerire, gestire, sceneggiare. Forse ha in mente una serie dove quel che accade sotto la Lanterna è solo una puntata di mezzo: dal campo di atletica a Palazzo Chigi, il lancio più lungo della mia vita.

Non deve stupire quindi se le primissime scelte della sindaca siano osservate con particolare attenzione. Il Pd avrà il vicesindaco, Alessandro Terrile, ex amministratore delegato di Ente Bacini, l’istituzione feudo dei dem cittadini che fu lambita dall’inchiesta dello scorso anno su Giovanni Toti, per via delle relazioni pericolose tra Aldo Spinelli, munifico dispensatore di finanziamenti, e l’ex presidente, Mauro Vianello, attualmente accantonato per ragioni di convenienza. Terrile avrà anche la delega al bilancio, terrà i cordoni, ma certo al Pd non basta. Il partito rivendica sei assessori, calcolatrice alla mano ne avrebbe diritto a 6,6. Punta alle deleghe che contano, per esempio i lavori pubblici per il compagno Massimo Ferrante. Le poltrone in giunta sono undici: M5S ne avrà una, Avs due anche se gliene sono state promesse tre, ma potrebbe essere anche una. Salis ne vuole due, tra cui quella alla Cultura, magari per Silvia Pericu, figlia dell’ex sindaco Giuseppe e sorella di Andrea, il primo a suggerire la sua candidatura.

Ma a far capire che città ha in testa, quali padrini riconosce e che progetti ha per il futuro, proprio e della sinistra, la signora Brizzi, sarà il peso che lei riconoscerà a quel 2% che le hanno portato calendiani e renziani, assolutamente ininfluenti con i loro due consiglieri, contro i quindici dem, per garantirle la maggioranza. Le regole della politica vorrebbero che ai moderati di sinistra fosse assegnata una poltrona, le Politiche Sociali, alla calendiana ex Pd Cristina Lodi, stimata ed esperta del settore. I renziani però non ci stanno e vogliono un incarico anche per Viscogliosi, arrivata terza di lista. Genova si chiede se Salis darà ragione alla testa, non chiedendo rinunce al Pd e difendendo il suo diritto a due assessori, o avvertirà il richiamo della foresta, facendo carte false, litigando e finendo per sacrificare la propria lista, per dare seguito alle pretese del “rottamatore”. Non sarebbe un bell’inizio, perché poi alla sindaca toccherebbe governare con il Pd e gli altri alleati un po’ di traverso.

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I NODI DA SCIOGLIERE
Il nodo va risolto in fretta perché ci sono decisioni importanti da prendere. Che fare con lo Sky Metro, opera finanziata già dal governo, una ferrovia urbana di nove chilometri per unire i quartieri popolari della Val Bisagna al centro? Se la prima cittadina fa marcia indietro, perde 349 milioni già stanziati che andranno a un’altra città. In campagna elettorale aveva promesso che avrebbe bloccato tutto e i cittadini della zona l’hanno premiata. Per ora ha chiesto una proroga, ma difficilmente il governo gliela concederà. C’è poi la funivia per collegare il centro ai 32 castelli che fanno da corona alla città, attrazione artistica dalle grandi potenzialità, anch’essa progetto già finanziato ma su cui la sinistra prima del voto ha tirato il freno. Infine la Gronda, 57 chilometri di autostrada per decongestionare la città.

Sono tutti test nei quali si verificherà la reale compattezza della sinistra e si capirà se Salis è sindaca del fare o del fermare. Certo, se è vero che senza “papi stranieri” che uniscono, Elly Schlein e il Pd non vincono né a Genova né tantomeno a livello nazionale, è altrettanto vero che questi candidati dalla faccia nuova e il piglio inclusivo e moderato senza l’estrema sinistra non possono fare nulla. E da che al Nazareno c’è la cliente dell’armocromista, anche buona parte dei Pd ormai è estrema sinistra.

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