Tic Tac, Tic Tac. Sono le 14 del 9 giugno: resta solo un’ora per votare i referendum. Cavolo, cosa faccio: voto a caso o resto a casa? La mia non è negligenza, capiamoci. In settimana ho fatto di tutto per informarmi. Ho preso ferie e chiesto all’intelligenza artificiale di darmi ogni giorno la sveglia coi discorsi della Schlein sull’«intersezionalità» e i «salti quantici». Ho esortato Chat Gpt a cantarmi del Landini l’ira funesta che infiniti dolori addusse agli stipendi degli iscritti alla Cgil. E ancora, per capire dove mettere la “x” su queste diaboliche schede – verdi, gialle, rosa, grigie, arancioni, sono i fascisti che fan di tutto per confonderci! - ho invocato lo spirito dei sassi dell’Adige estratti dal Bonelli, ma niente: sono stato fagocitato da impegni e imprevisti. Lunedì mattina, era il 2 giugno – scuole chiuse – ho avuto la pensata di giocare a “Monopoli” con le nipoti: quando dal mazzo delle “Probabilità” ho saputo che un mio zio ricco mi aveva lasciato in eredità 30mila lire sono partito per l’America, e d’altronde di questi tempi son soldi. Era una truffa: ad aspettarmi all’aeroporto c’era un tizio con la maschera di Alan Friedman che voleva piazzarmi un opuscolo contro i dazi di Trump.
Il tempo di tornare, martedì, ed era di nuovo sera: in tivù mandavano i momenti salienti della giornata all’“Isola dei Famosi”. Marione Adinolfi stava dando la caccia a mani nude a un tonno gigante – pinne 5Stelle, quelle che aveva ai tempi di Grillo il compagno naufrago Giarrusso – e le operazioni sono andate per le lunghe. Mercoledì. Ecco, finalmente è mercoledì: nessuno mi distolga dai quesiti su lavoro e cittadinanza. Allora, vediamo ‘sto Jobs Act messo da Renzi ma che quelli che l’hanno approvato con Renzi ora vogliono toglierlo. Driiin... È il tecnico del gas. C’è una fuga nel palazzo e resto fuori fino all’ora dei lupi: addio talkshow e zero internet. In casa ho il Wifi ma fuori ho finito i giga. Che sfiga!
Il giovedì è stata una tragica conseguenza del mercoledì. Mega riunione di condominio con inizio antelucano per decidere come intervenire: la speranza era di finire in tempo per “Piazzapulita” di Formigli – almeno stavolta saprò qualcosa di assolutamente imparziale sui domandoni dell’8 e 9 giugno – e però l’illusione frana come il congiuntivo di un Di Maio d’annata. Il motivo (non del congiuntivo)? L’inquilino del primo piano della scala B, interno 2 – sulla porta l’effigie di Sandro Ruotolo col baffo arruffato da cui spunta la scritta “Dio non ti vede Elly sì” – ha da ridire sulla ditta che deve effettuare i lavori, la Fratelli Testarasata. Il consesso termina con tre contusi lievi e una commozione cerebrale.
Venerdì, ultimo giorno prima del silenzio elettorale: dopo la colazione, lo ammetto, mi sono perso in una vecchia televendita in cui “Il Baffo da Crema” tentò di vendere l’aeroporto di Linate. Poi sono andato al mercato per comprare i cetrioli e sono rimasto ostaggio di un gruppo di femministe che vedevano nell’ortaggio il simbolo del patriarcato. Liberato era già tempo di Marzullo. È notte alta e sono sveglio. Ho un sussulto: oggi i leader della sinistra, con la scusa della mega manifestazione pro Gaza – addio silenzio elettorale – diranno perché bisogna mettere cinque “sì”. Ma sabato - va in malora! - sono rimasto chiuso dentro l’autolavaggio; domenica ricorreva l’anniversario della Battaglia di Antiochia e stamattina (lunedì 9) ero in lutto nel ricordo della morte di Claudia Ottavia, prima moglie ripudiata da Nerone, scomparsa dopo il confinamento sull’isola di Ventotene. Anche allora i fascisti! Ormai sono le 15, le urne chiudono e al massimo posso votare perché Adinolfi, preso finalmente il tonno, torni vincitore dall’Honduras.