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Landini si dimette? Tam tam impazzito. E lui...

di Andrea Valle martedì 10 giugno 2025

2' di lettura

Nonostante la batosta referendaria, Maurizio Landini non molla. Lui, il simbolo della sconfitta, rilancia. «Un passo indietro? Assolutamente no. Questa non è la conclusione, è l’inizio di una strategia. Noi sapevamo che il referendum poteva comportare anche il rischio di non raggiungere il quorum: lo abbiamo corso, abbiamo fatto di tutto ma non lo abbiamo raggiunto e questo va riconosciuto. Ma contemporaneamente tutti devono riflettere sul fatto che ci sono 14 milioni di persone che a votare ci sono andate e che hanno detto che condividono questi temi. Quindi rilanciamo questa iniziativa a partire da loro», sono le prime parole del segretario del sindacato rosso durante la conferenza stampa convocata ieri al centro congressi Frentani di Roma.

Se questo è l’inizio, chissà la fine... «I temi dei referendum rimangono sul tavolo: in termini di riduzione della precarietà, di difesa della salute e sicurezza sul lavoro, di cambio del sistema degli appalti, di tutela di tutti i lavoratori nelle grandi e nelle piccole imprese contro i licenziamenti, così come la cittadinanza», spiega Landini. Dunque non si ferma «la lotta, utilizzando tutti gli strumenti a disposizione», a livello contrattuale e di mobilitazione, per cambiare quelle «leggi balorde». Poi Maurizio piagnucola e se la prende, nemmeno a dirlo, col governo (ma anche col Matteo Renzi peril Jobs Act: «Sapevamo, quando un anno fa abbiamo raccolto le firme, che non sarebbe stata una passeggiata in un Paese dove c’è una crisi democratica. Se anche l’uso di uno strumento previsto dalla Costituzione, come quello del referendum, si trasforma in una campagna per non far andare a votare i cittadini, io penso sia una grave responsabilità politica perché così si mette in discussione la democrazia del Paese». E ancora: «Esponenti del governo che non sanno neanche i quesiti ma invitano le persone a non andare a votare. Siamo nel pieno di una crisi democratica».

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L’unica crisi, semmai, è quella di fiducia che i lavoratori hanno verso questa Cgil allo sbando. A proposito dei soldi pubblici sprecati, visto il flop dei referendum, Landini non ci sta. «Sì, la democrazia costa. Mi dovrei preoccupare che per ridurre i costi non si debba andare a votare? Avevamo chiesto si votasse insieme alle comunali, al primo turno». Il quorum al 50%, obbligatorio per far passare per i quesiti abrogativi, non va cambiato secondo il segretario della Cgil: «Da cambiare non è il quorum ma è l'atteggiamento delle forze politiche rispetto alla democrazia perché una cultura politica di questa natura pericolosa per democrazia». Qualcuno gli ricordi che ai referendum è democratico anche astenersi.

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