Quel tifo per l'Urss di Napolitano...

A cento anni dalla nascita Giorgio Napolitano non poteva sfuggire al dazio della memoria: la celebrazione postuma del secolo che per poco non ha avuto modo di poter festeggiare di persona
di Marco Patricellimartedì 1 luglio 2025
Quel tifo per l'Urss di Napolitano...
3' di lettura

È molto italiano incensare chi non c’è più, sorvolando magari sui difettucci e imbellettando le qualità sino a sconfinare nel panegirico e nell’agiografia. A cento anni dalla nascita Giorgio Napolitano non poteva sfuggire al dazio della memoria: la celebrazione postuma del secolo che per poco non ha avuto modo di poter festeggiare di persona. Se le lodi retoriche sono molto italiane, lui fu certamente un arcitaliano. Universitario fascista durante il fascismo, comunista col Pci in auge, quasi democristiano nella terza fase della vita politica, lunghissima, con tutti gli auspici e gli scongiuri dei partiti che l’avevano prima spinto e poi incollato allo scanno della Presidenza della Repubblica pregandogli la salute e sfidando le leggi della biologia dopo averlo pregato di bissare il settennato. Giorgio Napolitano, in fin dei conti, fu un uomo del suo tempo. Politico scafato e abile a far dimenticare gli errori del passato e a proporsi come notaio inflessibile e paternalista degli affari della Res Publica. Il suo fu quasi un regno, con una corona offerta sul velluto, rosso, da una classe politica incapace di investire sul futuro e convinta di puntare sull’usato sicuro. Decise però lui quando chiudere l’esperienza da presidente della Repubblica, con un gesto che sapeva di abdicazione, ad appena 90 anni. Il potere logora chi non ce l’ha ammoniva uno che se ne intendeva eccome come Giulio Andreotti, che però al Quirinale non ci arrivò mai.

IL VISTO PER GLI USA
Napolitano ha navigato nei mari agitati dell’Italia della guerra e del dopoguerra come se ci fosse per caso. Poiché, come diceva Ennio Flaiano, anche con i diavoli prima o poi ci si mette d’accordo, fu il primo comunista a ottenere il visto per gli Stati Uniti. Per lui fu come mandar giù un bicchiere d’acqua. Altro cosa il rospo servito nel 2006 dagli ungheresi (Orban non c’era ancora), perché per commemorare il 50° della rivolta di Budapest proprio non ce lo volevano: nel 1956 l’elegante e colto avvocato napoletano con la cravatta rossa era stato prono ai voleri del Cremlino tuonando contro i “fascisti” magiari che si ribellavano ai sovietici. Riconquistata la libertà con la caduta del Muro di Berlino, per farlo entrare in Ungheria gli imposero di inchinarsi davanti alla tomba di Imre Nagy fatto impiccare dai comunisti nel ‘58.

DAL GUF AL PCI
La diplomazia italiana dovette superarsi in giravolte e inchini. Lui d’altronde con un giro di valzer dal 1944 al 1945 era passato come giovane immaturo dal Guf al Pci da compagno maturo, dov’era giustamente molto apprezzato per qualità che indubbiamente aveva, ma non abbastanza da fargli succedere nel 1983 a Enrico Berlinguer. Moderatamente ortodosso e ortodossamente moderato, Napolitano era abile a stare sempre dalla parte giusta, la sua, senza negare né rinnegare sé stesso. Europarlamentare, ministro agli Interni e agli Esteri, presidente della Camera durante Tangentopoli, era sempre pronto al grande e definitivo balzo verso la consacrazione presidenziale, col viatico da senatore a vita. Nel 2006, finalmente e da comunista, al Quirinale, per quanto d’un soffio. Ma il vento della storia tira dalla sua parte, anche per un’abilità democristiana a spiegare le vele fiutando la direzione giusta. Dopo Romano Prodi gli tocca come premier Silvio Berlusconi e ne sente il fiato sul collo. Lo Spread eurodiretto lo giubila al posto suo e gli consente di lanciare Mario Monti, nominato senatore a vita, che non si rivelerà la panacea dei mali economici e sociali italiani. Poi il suo candidato Pierluigi Bersani sarà uccellato dal comico Beppe Grillo che cucinerà “Gargamella” allo spiedo in diretta streaming.

PREGATO PER IL BIS
Uno smacco che Re Giorgio saprà volgere a suo vantaggio: si farà infatti pregare di concedere il bis con un altro settennato, per mancanza di alternative (ed è tutto dire). Non fu un’impresa sovrumana convincerlo. Nato e cresciuto protagonista della scena politica, si riserverà il momento dell’uscita di scena. Avrà il tempo di assistere alla serenità con cui Enrico Letta deve passare la campanella a Matteo Renzi, che poco prima l’aveva rassicurato sulle sue intenzioni.

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