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Giacomo Matteotti, lo sfregio alla targa? Colpa di Giorgia Meloni...

Dopo l'atto vandalico, senza sapere un tubo, metà della scena politica italiana era già arrivata a sentenza: a rispondere della vergogna deve essere il premier. La sinistra non cambierà mai
di Daniele Capezzone martedì 22 luglio 2025

4' di lettura

Domanda: è una vergogna il fatto che qualcuno a Roma abbia danneggiato la targa dedicata alla memoria di Giacomo Matteotti? Risposta: non è solo una vergogna, ma una grande vergogna. Altra domanda: ma ha senso il fatto che – subito dopo la diffusione della notizia – metà dello schieramento politico italiano, con il solito riflesso pavloviano, si sia immediatamente messo a sparacchiare contro Giorgia Meloni? Risposta: no, non ha alcun senso. E potremmo chiuderla qui. E invece no, perché questa storia ci porta lontano. Come prenderemmo – nella nostra vita ordinaria, al lavoro o a casa – una persona, un collega, un familiare, che si mettesse a sparare e sparlare a vanvera, ad additare colpevoli, senza sapere niente sull’effettivo svolgimento di un episodio? A essere gentili, la considereremmo come una persona poco affidabile, superficiale, inattendibile. Ecco, non si capisce per quale ragione questo elementare criterio – che tendiamo giustamente ad applicare nella vita privata – sia meno utilizzato nella vita pubblica, nella quale tendiamo a dare per scontato che si possano sparare sciocchezze a piacimento. Anzi, che quei bengala, quei razzi, quei fuochi d’artificio siano “parte” dello spettacolo che dobbiamo attenderci.

Prendiamo il caso della lapide di ieri. Mentre scrivo queste righe, non so e non sappiamo nulla su chi abbia compiuto quell’atto di spregevole vandalismo. È stato un teppista fascistoide? È stato invece uno sbandato? È stato un ubriaco? È stato qualcuno che ha colpito quella targa per compiere uno sfregio “politicamente motivato”? O è stato invece un idiota che ha fatto il suo danno “a caso”, e che avrebbe potuto colpire – nello stesso modo insensato – una finestra o un’automobile? Ecco, io non lo so e – sapendo di non sapere – le ipotesi le elenco tutte, senza escluderne nemmeno una, a partire dalla più spiacevole. Per magia invece metà della scena politica italiana – senza sapere un tubo esattamente come me – è già certo, sicuro, anzi strasicuro: è la Meloni che deve rispondere. Come su tutto: deve rispondere se fa caldo, deve rispondere se fa freddo, se le temperature si alzano o se improvvisamente si abbassano. “Il governo venga in Aula” è la frase-scacciapensieri: parola che va presa alla lettera, stavolta, nel senso che appunto scaccia (allontana, annulla, azzera) ogni pensiero, ogni attività razionale, ogni logica.

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È purtroppo caduta nella trappola anche la signora Elena, discendente di Giacomo Matteotti, che si è lasciata sfuggire (e ne sono sinceramente rammaricato) un incredibile: «Ora aspetto il gesto della premier, è il minimo che possa fare ma dovrebbe andare contro tante cose». Ma, signora Elena, con l’assoluto rispetto che si deve a lei e soprattutto verso la memoria sacra di Giacomo Matteotti, che vuol dire “contro tante cose”? Qualcuno pensa davvero che Meloni debba dissociarsi dal delitto Matteotti? Qualcuno pensa che in Fratelli d’Italia ci siano dubbi su quella orrenda circostanza storica? Qualcuno pensa che i 30 italiani su 100 che nei sondaggi dichiarano di voler votare Fdi abbiano esitazioni nei giudizi storici su quel pestaggio e quell’omicidio?

Non è bastato nemmeno l’omaggio emozionato del ministro Giuli, che ieri si è recato sul posto e ha pronunciato parole inequivocabili: vorrei dire che lo ha fatto – comprensibilmente – a scanso di equivoci, per prevenire qualunque fraintendimento, per stroncare preventivamente qualsiasi polemica. E invece no.
Mi chiedo: che senso ha così – con sciatteria automatica – trattare da fascisti i legittimi vincitori delle elezioni? Peggio: considerarli come soggetti che debbano passare la vita a giustificarsi? Peraltro, più lo fanno e meno basta. Perché l’industria della fascistizzazione è sempre attiva e non si accontenta mai: per quante chiarificazioni siano giunte (sin dal 1994-1995, dalla nascita di Alleanza Nazionale, dalla svolta di Fiuggi, fino al nuovo inizio di Fratelli d’Italia, e passando per mille prese di posizione su tutto, sul fascismo, sulla Resistenza, sul 25 aprile, sulle leggi razziali), esse non sono mai sufficienti. L’asticella sale sempre: manca un aggettivo, un avverbio, una virgola. Manca sempre qualcosa: e così sinistra e giornali di riferimento (cioè quasi tutti) ricominciano, in pieno 2025, gli avvistamenti dei fascisti, un po’ come quei tipi un po’ fissati che scrutano e annotano – in un deserto americano o in un cielo asiatico – le “inequivocabili” tracce delle apparizioni Ufo.

Non c’è nemmeno bisogno di chissà quale “regia”, di una sorta di intesa tra politici e commentatori d’area. Del resto, il volo degli uccelli in uno stormo non richiede coordinamento preventivo: sono la natura e l’istinto a condurli armoniosamente, a farli volteggiare componendo coreografie perfette. Ecco, per il riflesso conformista dei media e del ceto politico progressista vale lo stesso: il “richiamo” antifascista sgorga con naturalezza dal profondo dell’animo. Anche senza sapere nulla di cosa sia davvero successo. Ma questo è un “dettaglio”: quel che conta è il grido “Meloni spieghi”. Fa ridere? No, fa piangere. Ma siamo inchiodati a questa coazione a ripetere.

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